La primavera jihadista

La caduta del regime di Ben Ali nel gennaio 2011, dopo due anni di rivolte popolari, si dimostra essere sinonimo dell’arrivo di una primavera jihadista in Tunisia. Perdite tra militari e forze di sicurezza, assassini politici e tentativi di attacchi suicidi sono parte della quotidianità del post-rivolta tunisino. Inoltre, ad oggi, la Tunisia è il primo paese fornitore di jihadisti nel  conflitto in atto in Siria e in Iraq, sia per la brigata ‘Jabhat al-Nusra’ che per il gruppo terrorista ISIS. Le autorità tunisine confermano che più di 2.000 cittadini stanno combattendo in Siria e che 400 di essi sono già rientrati in patria.

Nel mese di agosto 2013, al-Nahda il partito islamista al governo, accusa Ansâr al-Sharîa (AST) di essere responsabile delle “operazioni terroristiche nel paese”. Il gruppo da allora è bandito come “organizzazione terroristica” (ndr: prestate attenzione al seguito perchè, se avere letto con attenzione la storia precedente, avete già capito che ci sono “Interessanti” connessioni tra le due entità…)

Il governo, certo dei collegamenti esistenti tra AST e AQIM, inizia una campagna di arresti contro i membri di AST. Sembra però impossibile catturare il leader Abû ‘Iyâd al-Tunisi che pare aver trovato rifugio nella città di Derna, in Libia dove, grazie al ritorno dei combattenti tunisini dal Medio Oriente, sembra stia organizzando un’alleanza strategica efficace in tutto il Nord Africa. Nel maggio 2011 il leader veterano del jihad globale, Abû ‘Iyâd, fondatore nel 2000 del Gruppo Combattente Tunisino (TCG), succede nella creazione di Ansâr al-Sharî‘a, l’organizzazione che si sviluppa gradualmente all’ombra del contesto del post-rivolta tunisino contrassegnato da instabilità politica e massicce proteste popolari. Attraverso la da‘wa, AST riesce ad assorbire migliaia di sostenitori, la maggior parte dei quali giovani che non superano i trent’anni. Dall’essere la più importante organizzazione di predicazione salafita presente nel paese, AST muta la sua strategia d’azione e assume un ruolo chiave nel contesto del jihad internazionale, intrattenendo relazioni sia con al-Qa‘îda che con l’ISIS.

Diversi rapporti internazionali provano che reclutatori del jihad globale, come il franco-tunisno Abû Bakr al-Hakîm, tra il 2012 e il 2013, sono stati particolarmente attivi nei territori tunisini dove complottavano assassini, contrabbandavano armi e reclutavano militanti disposti ad intraprendere il jihad in Siria, in Iraq ed eventualmente in Europa. Le investigazioni associate alle recenti attività dei fratelli Kouachi, esecutori degli attacchi di Charlie Hebdo a Parigi, mostrano che i due, proprio tra il 2012 e il 2013, si addestravano proprio nel più piccolo paese del Nord Africa.

Per comprendere quale sia il ruolo politico giocato da Ansâr al-Sharî‘a in Tunisia bisogna far fronte ad una serie di quesiti complessi e correlati. Appare impossibile prescindere dall’analisi del contesto nazionale in cui si inserisce la sua fondazione e la sua evoluzione strettamente connesse al rovesciamento del regime dittatoriale e al successivo periodo di transizione  politica. Allo stesso modo è impossibile trascurare l’evoluzione della strategia jihadista nel contesto internazionale, proprio a partire dall’ultimo decennio, quindi dopo la cosiddetta ‘Primavera Araba’. Questi cambiamenti radicali favoriscono l’aumento della presenza jihadista tra le masse di giovani disillusi ed emarginati, permettendo a gruppi jihadisti una forte presa di potere, in termini di controllo militare, in diversi territori del Nord Africa (sui monti nord-occidentali della Tunisia, in Libia, nella regione del Sinai in Egitto e in Mali) e in Medio Oriente (Iraq e Siria).

Impossibile trascurare, dunque, il legame tra AST e il partito islamista alNahda che si impone sulla scena politica, per la prima volta nella storia della Tunisia, a seguito della rivolta del 2010-2011, in una coalizione di governo detta troika. Vedremo come, in un certo senso, l’ascesa al potere del gruppo islamista (al-Nahda) potenzia questa ‘primavera jihadista’ la quale gode, al contempo, di un nuovo assetto strategico–ideologico nella regione MENA (acrconimo per Medio Oriente e Nord Africa).

La fondazione di AST

La rapida popolarità e l’importante visibilità acquisita da AST, in quattro anni di transizione politica, tra una generazione giovane e disillusa, porta a chiedersi quale sia la sua posizione e quale il suo peso politico nell’instabile realtà tunisina. È impossibile prescindere dunque dall’analisi delle circostanze politiche che hanno favorito la sua propaganda in un’arena politica caratterizzata dalla febbrile competizione tra più di un centinaio di partiti politici e centinaia di nuove associazioni islamiche. Il consistente numero di sostenitori, di cui il gruppo attualmente gode, richiama inoltre l’attenzione sulla strategia utilizzata da AST per diffondere gradualmente l’ideologia jihadista mentre si prepara alla lotta contro il regime.

Un contesto politico favorevole

La fondazione di Ansâr al-Sharîa in Tunisia coincide con una serie di eventi che favoriscono, non solo la nascita del radicalismo islamico in generale, ma anche la sua progressiva invasione dello spazio pubblico. Subito dopo la fuga di Ben Ali verso l’Arabia Saudita, un’ondata di islamisti del partito al-Nahda rientra nei confini tunisini dopo decenni di esilio. Due settimane dopo la fuga del dittatore, Rachid Ghannouchi, leader di alNahda, atterra a Tunisi. La stessa aria di libertà la respirano i detenuti incarcerati sotto la legge antiterrorismo del 2003. Infatti, i leader veterani del jihad transnazionale tra cui Abû ‘Iyâd e i membri del gruppo di Slimane, vengono liberati.

La repressione, il carcere a lungo termine e l’esilio che, per più di vent’anni caratterizzano il regime di Ben Ali, non sono gli unici fattori che uniscono jihadisti e islamisti di al-Nahda. Sin dai tempi del regime del Presidente Bourguiba infatti i due schieramenti mostrano che l’azione militare ha sempre fatto parte dei loro piani di presa di potere. Stabilire un califfato islamico in Tunisia che possa liberare le terre musulmane occupate, è l’obiettivo a cui sia AST che al-Nahda ambiscono, nonostante la prospettiva e le strategie da utilizzare dai due gruppi siano differenti. A seguito della scarcerazione, dopo anni di detenzione, l’entusiasta Hamadi Jbali, segretario generale di al-Nahda, eletto Primo Ministro dell’Assemblea Costituente alle elezioni del 23 ottobre 2011, in uno dei raduni di al-Nahda, rivolgendosi al suo pubblico dice: “fratelli miei, siete in un momento storico di un nuovo ciclo di civilizzazione, a Dio piacendo. Siete nel Sesto Califfato, a Dio piacendo”.

In un certo senso, Ansâr al-Sharî‘a rappresenta la radicalizzazione dottrinale e strategica dello storico partito islamista. Durante gli anni Ottanta, jihadisti tunisini, come Abû ‘Iyâd e Tarek Maaroufi, avviano la loro carriera militante proprio nella culla dell’ MTI, prima che il gruppo cambiasse il suo nome in al-Nahda quando Ben Ali prese il potere, nel 1987. A partire dagli anni ’90 e durante gli ultimi vent’anni, come abbiamo avuto modo di vedere nel capitolo precedente, questi jihadisti sono stati coinvolti in diverse esperienze transnazionali, in Europa e in Afghanistan.

IMPORTANTE: I primi anni della carriera militante di Abû ‘Iyâd, emiro di AST, inizia negli anni Ottanta come membro dell’ MTI. Abû ‘Iyâd al-Tunisi o Saîf Allâh Ben Hassine, originario del quartiere di Menzel Bourguiba a Biserta, viene presto promosso come leader di un ramo militare dell’ MTI, il Fronte Islamico Tunisino (FIS), fondato da Rachid Ghannouchi.

Quest’ultimo (Gannouchi)  infatti, non ha mai nascosto la sua nostalgia e la sua simpatia verso coloro che ha chiamato, in più di un’occasione, “i nostri giovani salafiti” che “mi fanno ricordare la mia giovinezza”. Giornalisti e analisti, specializzati in jihadismo, come l’americano Aaron Zelin, dimostrano che, al-Nahda, sin da molto prima della sua ascesa al potere e durante i tre anni di governo troika, svolge un ruolo primario nella promozione e nel sostegno della fondazione di AST.

Il ricercatore Aaron Zelin, sulla base di un’indagine personale, condotta con un ex-membro di AST, riferisce che la fondazione di Ansâr al-Sharî‘a si tiene molto prima del maggio 2011 e cioè nel 2006, all’interno di una prigione tunisina. In quell’anno Ben Ali scarcera alcuni islamisti, tra cui Hamadi Jbali. I detenuti percepiscono il gesto del dittatore come la manifestazione di una sorta di clemenza e “venti islamisti, tra cui il futuro leader di AST, Abû ‘Iyâd al-Tunisi, accettano di creare una nuova organizzazione”. Nel frattempo, ancora in carcere, Ali Larayedh e Nûr alDîn Gandûz, entrambi leader di al-Nahda, attraverso uno scambio di lettere cercano di capire quale il vantaggio politico i membri di al-Nahda possano ottenere, apparendo “più moderati”, se si crea un gruppo radicale.

Durante le prime settimane successive al 14 gennaio 2011, centinaia di jihadisti e di islamisti di al-Nahda ritornano in libertà a seguito di una legge di amnistia approvata dal governo transitorio. Scarcerati, i membri fondatori di AST si ritrovano nell’abitazione di Abû ‘Iyâd per discutere del destino dei loro cinque anni di alleanza, per la prima volta fuori del carcere. L’intenzione di estendere il gruppo nel paese è confermata dal contatto che i membri di AST stabiliscono con lo Shayk (Sceicco) al-Khatîb al-Idrissi. Quest’ultimo trascorre diversi anni in Arabia Saudita dove studia legge islamica, conosce l’influente Shayk ‘Abd al-‘Azîz Ibn Bâz e si mette in contatto con il movimento Sahwa, fatto che gli permette di godere dello statuto privilegiato di alta guida spirituale non solo in Tunisia, ma in generale in Nord Africa.

Inoltre, membri di AST incontrano, per ben due volte, Rachid Ghannouchi, proprio all’interno della sua abitazione. L’avvenimento riecheggia come una conferma del fatto che, il movimento islamista prova interesse verso l’attivismo di AST in grado di favorire, tra le varie cose, la loro propaganda politica. Infatti, Ghannouchi consiglia ai fondatori di AST di incitare i loro affiliati ad infiltrarsi nell’esercito e nella Guardia Nazionale. Il 21 maggio 2011, nel primo incontro pubblico tenuto da AST a Sukra, città in periferia di Tunisi, diversi sono i leader islamisti radicali presenti, tra questi Sadoq Chourou, Habib Ellouz e ‘Abd al-Raouf Ayedi eletti, a seguito delle elezioni di Ottobre 2011, a deputati della Assemblea Nazionale Costituente (!).

Subito dopo la fuga di Ben Ali, lo spazio pubblico tunisino è invaso dal forte e inaspettato ritorno islamista. Strade e piazze, teatro di rivendicazioni popolari (masse in rivolta protestano in nome di esigenze sociali attraverso noti slogan come ‘Shoghl, Hurrîya, Karâma Watanîya’, ossia “Lavoro, Libertà, Dignità Nazionale”), assistono alla comparsa delle prime manifestazioni di estremismo religioso. Il 18 febbraio 2011, cinquecento persone (tra cui numerosi ‘barbuti’ che avevano manifestato a favore della chiusura del bordello della vecchia Medina di Tunisi / ndr: il termine “barbuto” viene spesso usato per riferirsi ai salafiti, che spesso tengono quel look: barba folta, spesso niente baffi e capelli spesso rasati) si scontrano con le forze di sicurezza costrette a sparare in aria per disperderli. Negli scontri si riportano tre feriti. Lo stesso giorno, il sacerdote cattolico Marek Rybinsky viene trovato morto presso la scuola ‘Our Lady’ a Manouba.

In effetti, il 30 gennaio Padre Rybinsky viene minacciato di morte per mezzo di una lettera anonima. Il Ministero dell’Interno attribuisce l’omicidio ad “un gruppo di fascisti terroristici con tendenze estremiste” che “stanno approfittando di una situazione eccezionale per disturbare la sicurezza nazionale e far precipitare il nostro paese nella violenza”. Nel mese di luglio 2011, i quartieri popolari di Ettadhamen e Sidi Hassine diventano teatro di scontri tra forze di sicurezza e “gruppi estremisti [che hanno] l’obiettivo di danneggiare il clima di sicurezza e di stabilità di cui il paese ha recentemente goduto”.

Anche nel quartiere popolare di Menzel Bourguiba, sempre nella periferia della capitale, gli atti di violenza sono continui, quattro poliziotti vengono feriti e alcune stazioni di polizia vengono incendiate con il lancio di bottiglie molotov. Il Ministero degli Interni riferisce che le operazioni sono sempre condotte da “tanta gente con la barba” che grida “Allâh Akbâr”.

Il silenzio del governo islamista al-Nahda, incoraggia il radicalismo religioso che, nelle oltre 400 moschee prive di controllo statale, sviluppa e diffonde una dialettica violenta che mira all’assassinio degli ‘infedeli’ leader politici di sinistra e di sindacalisti. Nel mese di marzo 2012, una folla di manifestanti protesta di fronte alla sede di Ali Larayedh, Ministro degli Interni di al-Nahda, per chiedere l’applicazione della sharî‘a e la creazione di un califfato in Tunisia. Nei loro slogan si inneggia ad al-Qa‘îda, a Bin Lâden e si invita all’uccisione degli ebrei tunisini. In quest’occasione, un gruppo di manifestanti, fuoriuscito dalla folla, attacca alcuni musicisti che si esibivano davanti al teatro di Tunisi, sempre in Avenue Bourguiba 247

L’attento politologo François Burgat sostiene che, una tale radicalizzazione del discorso e del comportamento religioso, sia una conseguenza naturale della lunga repressione a cui sono sempre stati sottoposti gli islamisti tunisini. Burgat sostiene inoltre che, in Tunisia, l’assenza del salafismo quietista (vedasi glossario) sia uno dei fattori in grado di spiegare l’aumento improvviso del jihadismo.

Tuttavia, invece di agire come fattore di modernizzazione, l’improvviso aumento del salafismo tunisino contribuisce piuttosto a radicalizzare il discorso religioso a vantaggio della propagazione di AST. La gran parte della disillusa gioventù tunisina, non ha mai avuto modo di mettersi in contatto con il salafismo durante il goverrno di Ben Ali. L’insorgere della nuova e complessa mouvance salafita confonde completamente questa già fragile gioventù. Nel contesto della febbrile competizione politica, i salafiti hanno gran successo nella fondazione di centinaia di nuove associazioni islamiche, di scuole coraniche e nell’organizzazione di campi umanitari. Grazie a queste attività questi salafiti godono di una notevole visibilità che cattura l’attenzione dei giovani affascinati dall’iniziale predicazione pacifica.

Attraverso una da‘wa che sostiene la difesa dei principi dell’identità islamica tunisina, si diffonde il concetto di sharîa e quello di califfato. È in difesa di questa identità islamica che i partiti salafiti di nuova formazione, pur dichiarano il loro antagonismo alle regole democratiche, si presentano alle elezioni e appoggiano il progetto califfale.

Per la prima volta nella storia del paese, i partiti salafiti al-Asâla (“Autenticità”), al-Tahrîr (“Liberazione”) e Jabhat al-Islâh (“Fronte di Riforma”) entrano a far parte della scena politica tunisina acquisendo uno status giuridico. Nella campagna elettorale di ottobre 2011, la mouvance salafita si espande, sia “attraverso l’intensificazione di associazioni e partiti politici” che, attraverso il sostengono fornito agli islamisti di al-Nahda; appoggio fornito nella speranza di formare un’alleanza parlamentare che favorisse l’applicazione della sharîa.

La mouvance salafita si infiltra nei quartieri popolari attraverso una rete di associazioni ed organismi che, sotto la copertura della carità sociale, svolgono un importante ruolo nella propaganda di ideologie salafite. A settembre 2014, due mesi prima delle elezioni parlamentari e presidenziali, il nuovo governo transitorio, salito al potere dopo la troika islamista, lancia una campagna contro le attività di centinaia di associazioni, canali televisivi e stazioni radiofoniche sospettate di svolgere un ruolo chiave nella propagazione del discorso takfirista, responsabile dell’aumento della violenza nel paese. L’importanza di tale campagna viene sottolineata da diversi analisti e accademici. Tra questi, il tunisino prof. Alaya Allani (foto a sinistra) critica il fatto che essa si sia limitata ad associazioni direttamente connesse ad Ansâr al-Sharîa, mentre abbia ignorato le altre centinaia di associazioni presumibilmente coinvolte con lo stesso tipo di discorso violento.

Un’identità incerta

“Il jihad è sicuramente parte del nostro progetto politico, ma non abbiamo alcun interesse attualmente a intraprendere iniziative violente o atti terroristici. La lotta per la creazione di uno Stato islamico ha bisogno dell’appoggio del popolo. Non esiste jihad se il popolo tunisino non è con noi”. Queste sono parole di Hassan Ben Brik (foto sotto, fonte), responsabile della predicazione in Ansar al Sharia.

Non vi sono parole migliori che possano esprimere l’ambiguità e la contraddittorietà delle posizioni di Ansâr al-Sharî‘a in materia di jihad più efficienti della dichiarazione sopra riportata. In accordo alla dichiarazione di Ben Brik, AST ha una doppia missione:

  • diffondere la da‘wa così da guadagnare sostegno popolare (fondamentale per dichiarare il jihad)
  • preparare il progetto per la creazione di uno Stato Islamico in Tunisia.

L’affermazione di Hassan Ben Brik conferma l’esistenza delle affinità del gruppo con la maggior parte delle argomentazioni jihadiste sviluppate da Sayyid Qutb convinto, per esempio, della necessità di formare un’avanguardia di leader che diriga la umma. Allo stesso tempo, le parole di Ben Brik riecheggiano il pensiero dei teorici del jihad che sostengono l’importanza strategica di accaparrarsi un massiccio sostegno popolare da investire come supporto dei progetti jihadisti, prima di passare al vero e proprio combattimento.

Bin Lâden e al-Zawâhirî sottolineano la necessità della semplificazione della da‘wa in modo tale da garantire al popolo musulmano una rapida comprensione dei concetti fondamentali per la predicazione jihadista, come quello del tawhîd e di hâkimiyya. Allo stesso modo, Abû Bakr Nâjî, autore del libro Idârat at-Tawahosh, meglio noto in inglese come ‘Management of Savagery’ (foto a sinistra) , invita i jihadisti a fondare un proprio settore mediatico indipendente che faciliti la diffusione della conoscenza e contribuisca ad una migliore comunicazione con la comunità musulmana. Dall’osservazione del sito internet ufficiale di AST e della sua ramificazione multimediale, nota come ‘al-Qayrawan Media Foundation’ (QMF), sembrano non esserci dubbi sul fatto che, pur se AST sia strutturalmente indipendente, come conferma Ben Brik, i suoi leader siano connessi ad al-Qa‘îda, a cui prestano fedeltà in quanto base del jihad globale. I veterani leader tunisini del jihad transnazionale, consapevoli del ruolo che i media alternativi hanno giocato nella propagazione della rivolta del 2010-2011 e coscienti dell’importanza di mantenersi in collegamento con le reti jihadiste globali, fondano, verso la fine di aprile 2011, il QMF. Inoltre, sulla pagina ufficiale Facebook di AST spesso vengono postati link attribuiti all’ideologo al-Zawâhirî, definito emiro (ossia comandante, in senso militare).

Il sito ufficiale di Ansâr al-Sharî‘a non fornisce informazioni indicative che permettano di risalire alla struttura completa dell’organizzazione. Quest’ultima, infatti, appare dubbia, proprio come vaga e complessa è la natura e la missione che lo stesso gruppo diffonde. Ciò nonostante, quello che pare certo è che all’interno di AST ci siano cinque diversi uffici:

  • al-Maktab al-Da‘awî (Ufficio di Predicazione), incaricato dell’organizzazione di circoli di predicazione, di conferenze all’interno di moschee e della pianificazione dei cicli scolastici;
  • al-Maktab al-Siyâsî (Ufficio Politico), l’organo tenuto alla pubblica diffusione dei comunicati
  • al-Maktab al-I‘lâmî, anche detto al-Bayâriq (Reparto Multimediale), è il reparto incaricato della diffusione delle registrazioni audio e video e della propagazione della rivista ufficiale di AST: ‘al-Wa‘ad’ (“Il Promesso”)
  • al-Lajna al-Shar‘îyya, (Comitato Legale), specializzato in questioni legali inevitabilmente connesse alla legge islamica
  • al-Maktab al-Ijtima‘i (Ufficio degli Affari Sociali), la sezione che organizza carovane mediche e di beneficenza

La mancanza di chiarezza circa la struttura completa di AST è classica delle organizzazioni segrete e clandestine basate sull’anonimato e sul decentramento, fattori che permettono a queste organizzazioni di evitare di essere smantellate in caso di arresti.

Interviste condotte dall’Istituto Tunisino di Studi Strategici attestano che la maggior parte delle “persone intervistate facenti parte di AST è raro che conoscano gli Shayk e non hanno alcuna idea del loro ruolo [all’interno dell’organizzazione]. Il giornalista italiano Sergio Galasso, nell’intervista ad Hassan Ben Brik chiede informazioni in merito alla struttura il gruppo, ma Ben Brik risponde dicendo: “sulla struttura non posso dire nulla, tutti gli esponenti di Ansâr al-Sharî‘a sono sotto il mirino del governo e della comunità internazionale”. Un altro membro di AST intervistato a Duar Hicher, uno dei quartieri popolari che circonda la capitale, afferma che:

All’interno di Ansâr al-Sharî‘a, ogni gruppo locale è indipendente […]. Non esiste la centralizzazione fissa che caratterizza i partiti politici […]. Tuttavia, discutiamo i problemi generali direttamente con i nostri leader e Shayk […]. Per esempio, lo Shayk Abû ‘Iyâd e lo Shayk Kamal Zarrouq discutono con noi apertamente dei problemi [presenti] e non hanno mai dato ordini dall’alto.

La riservatezza dei leader di AST sull’identità e sulla struttura del gruppo, così come la sua ambigua strategia comunicativa (il continuo ricorso ad un linguaggio che oscilla tra da‘wa e jihad ), si spiega, in parte, per l’esistenza, all’interno del gruppo stesso, di conflitti e indecisioni. Non tutti i membri sono in accordo sul nome da dare al gruppo o sul modo in cui esso debba strutturarsi, non tutti condividono gli stessi obiettivi e persino la sua vera essenza. A tal riguardo diremo che, alcuni analisti sottolineano l’esistenza del disaccordo tra Abû ‘Iyâd e Khâtib al-Idrissi che, pur se non affiliato ad AST, è considerato un importante leader spirituale sia in Tunisia che nel Nord Africa in generale. Khâtib al-Idrissi, che esercita una forte influenza spirituale sulla mouvance salafita in generale, ritiene fermamente che la creazione di un gruppo o jamâ‘, sia in contraddizione con lo spirito del salafismo.

In generale diremo che la posizione adottata dal AST sia quella sostenuta da Abû ‘Iyâd, dal momento che, con il forum del 21 maggio 2011, svoltosi nella periferia di Tunisi, a Sukra, Abû ‘Iyâd dichiara la fondazione di Ansâr al-Sharî‘a in Tunisia. Il manifesto recitato da Abû ‘Iyâd sancisce la fondazione di AST e conferma l’incertezza del discorso adottato dal gruppo. Abû ‘Iyâd dichiara che la missione del gruppo sia essenzialmente quella di predicare, tra i tunisini, “il culto di Dio, piuttosto che il culto degli esseri umani”. Tuttavia Abû ‘Iyâd mette in guardia le autorità tunisine contro la potenziale repressione e il sabotaggio dell’attivismo di AST sottolineando che il gruppo “non si aspetta alcun tipo di autorizzazione o visto dal regime”, dato che quest’ultimo non governa attraverso leggi divine.

Fondato solo due mesi dopo il rilascio dalle carceri tunisine dei suoi principali leader jihadisti, l’incerta e misteriosa organizzazione di AST, è ancora alla ricerca di un progetto che definisca la sua struttura e di una strategia da adottare, dato che il dibattito tra i membri più stretti non ha ancora portato a conclusioni decisive. D’altra parte, l’improvviso e radicale cambiamento avvenuto in seno alla situazione politica tunisina ha fatto sì che si aprisse un varco illimitato in cui trovano spazio le diverse espressioni politiche che influenzano inevitabilmente le priorità strategiche di AST. La dichiarazione di Hassân Ben Brîk indica che, il jihad, nel senso ‘classico’ di lotta armata contro il regime, sebbene non sia una scelta preventiva, è una possibile strategia da intraprendere in accordo al successivo sviluppo politico del paese. Dunque, al momento, il solo obiettivo dichiarato dal gruppo consiste nella predicazione del tawhid e nel ripristino della sharî‘a.

A tal proposito Hassân Ben Brîk dice: Oggi, con la fine della dittatura, possiamo agire liberamente e dare progettualità al nostro lavoro d’insegnamento e diffusione della legge coranica. Siamo seguiti, veniamo ascoltati da migliaia di persone, molte più di quelle di tanti partiti che oggi occupano la scena politica.

Niente però può garantire tale impegno. Sembra che AST sia pronta alla lotta armata nel caso in cui lo Stato ritorna ad adottare metodi repressivi. Nel marzo 2012, in un’intervista con il quotidiano locale ‘al-Chourouk’, l’emiro Abû ‘Iyâd mette in guardia il governo contro la possibile repressione di AST dicendo che, il gruppo “ha scelto di essere attivo in pubblico”, ma se si procede agli arresti “i giovani saranno obbligati ad optare per l’attivismo clandestino cosa che comporterà un pericolo totale”.

Un anno dopo la fondazione di AST, Abû ‘Iyâd si serve ancora di un discorso che genera confusione più che chiarezza. Il veterano combattente del jihad globale non cessa però di insistere sul fatto che la Tunisia “è una terra di da‘wa”. Le attività pubbliche svolte dal gruppo finora dimostrano che AST si organizza nella distribuzione di un esercito di predicatori che organizzi circoli di da‘wa nelle diverse piazze del paese fino a raggiungere i villaggi più isolati dell’entroterra tunisino. Convogli di beneficenza forniscono cibo e cure mediche agli abitanti dei villaggi più poveri che vivono in condizioni estreme, completamente dimenticati dalle autorità locali.

L’evoluzione di Ansar Al Sharia

Un gruppo di predicazione?

La sfida più grande di AST consiste in come propagare l’ideologia jihadista nel milieu tunisino in cui questo tipo di discorso è da sempre vietato. Lo stratega jihadista Ayman al-Zawâhirî, per esempio, cerca di introdurre e diffondere, ad un pubblico sempre più vasto, il concetto di sharî‘a in cui sia insita la nozione di hâkimiyya. Questa propagazione viene fatta attraverso il discredito dei governanti laici complici dell’Occidentale invasore e degli ‘infedeli’ Stati Uniti. A partire da aprile 2011, AST sostiene pubblicamente la scarcerazione dei jihadisti tunisini ex-combattenti tra le fila di al-Qa‘îda in Iraq (AQI), ora prigionieri nelle carceri irachene. A tal proposito diverse manifestazioni e sit-in vengono organizzati sia davanti l’ambasciata irachena di Tunisi che in Avenue Bourguiba, davanti al Ministero degli Affari Esteri.

Per promuovere la sua retorica di da‘wa e scomunicare i governanti laici locali, AST si serve degli scontri, accorsi nella regione di Bir Ali Ben Khalifa, nel mese di febbraio 2012, tra militari tunisini e individui armati. A seguito di tale episodio infatti, il 6 giugno 2012, AST chiama i suoi sostenitori a manifestare davanti al tribunale militare di Sfax per chiedere la liberazione dei detenuti270. Un video pubblicato su internet mostra che, durante la manifestazione, un predicatore indirizza il suo discorso ai soldati tunisini a guardia del tribunale, accusandoli di difendere la democrazia e gli interessi di Stati Uniti e Israele.

Tuttavia, evitando scontri prematuri con il regime, AST si infiltra nei quartieri popolari e nelle periferiche regioni del paese, attirando attenzione dei cittadini, forti della loro distinta presenza e del progetto intenzionati a proporre. AST si presenta come alternativa parallela ad un governo incapace che marginalizza e impoverisce la popolazione. Approfittando dell’aiuto economico fornito da AQIM e da altre associazioni salafite, specialmente dei Paesi del Golfo, come l’associazione kuwaitiana RIHS (Revival of Islamic Heritage Society), Ansâr al-Sharî‘a investe gradualmente nella carità sociale: fornisce cibo, abbigliamento, materiale scolastico e assistenza medica ai cittadini delle regioni interne del paese, Kasserine, Jendouba, Sidi Bouzid e Biserta. I convogli di aiuto umanitario vengono presentati agli abitanti locali come parte della missione jihadista, come spesso sostiene Abû ‘Iyâd.

In questo senso, la missione strategica di AST, essenzialmente basata sul benessere sociale, gli permette di presentarsi, tra l’emarginata popolazione, come un organismo in grado di offrire un’alternativa economica ‘pia’, parallela al governo islamista. Consapevole dell’importanza di tale approccio, AST moltiplica le sue campagne di predicazione, in coincidenzadi gravi calamità naturali come inondazioni o tempeste di neve che ogni tanto capitano nelle montagne del nord ovest. Questi spiacevoli avvenimenti rappresentano ottime occasioni per propagare il discorso religioso takfirista che, per mezzo di sermoni predicativi criminalizza il governo islamista, oltre ad essere incapace di rispondere alle urgenti esigenze economiche e sociali, non è in grado di istituire lo Stato Islamico promesso. Spesso al-Qayrawan Media Foundation evidenzia e diffonde pubblicamente il bilancio sociale delle attività umanitarie di AST, postando fotografie in cui gli attivisti si dedicano a queste missioni caritatevoli.

Ansâr al-Sharî‘a intende approfittare del vuoto lasciato dall’incompetente governo per infiltrarsi nella società e accaparrarsi la simpatia della popolazione disillusa. La predicazione risulta essere una strategia basilare per AST. Il gruppo inizia a prestare attenzione ad attività quali la pulizia delle strade di campagna o la riparazione di quelle danneggiate nei quartieri popolari soprattutto di Sidi Hassine e Duar Hicher a Tunisi. È impossibile confondere queste attività come manifestazioni spontanee dei cittadini in quanto video mostrano che numerosi partecipanti indossavano tshirt con su scritto ‘Ansâr al-Sharî‘a’. Tra le attività svolte da membri di AST la riparazione o ricostruzione delle case dei più poveri, attività intensificate in coincidenza del periodo di Ramadan e delle due feste dell’ ‘Aid. Cesti colmi di cibo, noti come ‘Quffat Ansâr al-Sharî‘a’, vengono distribuiti, durante il Ramadan, tra le famiglie più povere: la maggioranza in questi quartieri.

La da‘wa di AST, un’alternativa alla polarizzazione in corso tra laici e islamisti, prospera in occasione delle elezioni del mese di ottobre 2011. La tornata elettorale serve come ideale e ulteriore occasione per convincere icittadini che bisogna scomunicare le elezioni e dell’atto stesso del votare. Atal scopo AST organizza una campagna di predicazione in cui distribuisce brochure che spiegano, semplicisticamente, il perché la votazione sia un atto di apostasia in accordo al principio di hâkimiyya. “L’Idolo della Democrazia” è il titolo dell’opuscolo maggiormente dispensato tra il pubblico. Su al-Qayrawan Media Foundation AST posta i video delle fatwâ in cui si discredita il regime democratico e vengono messi in guardia i tunisini dalla partecipazione alle elezioni.

Pochi mesi dopo l’ascesa al potere del partito al-Nahda a capo della troika, Abû ‘Iyâd chiama i fedeli a manifestare in favore della restaurazione della sharî‘a, non inserita nella nuova costituzione come promesso. Abû ‘Iyâd continua a guadagnare supporto, migliaia i sostenitori del partito islamista che ora delusi si avvicinano al carismatico leader di AST.

L’elevato numero di sostenitori conferma il successo dell’iniziale missione predicativa compiuta da AST. Il messaggio ‘purista’ e la prospettiva populista del gruppo si differenzia chiaramente dagli altri partiti salafiti meglio organizzati e dalle associazioni fondate dopo la rivolta: AST diventa così il primario agente dell’aumento della mouvance salafita279. Il 20 Maggio 2012, migliaia di sostenitori e simpatizzanti accorrono al secondo forum annuale di AST, nella città di Kairouan: Abû ‘Iyâd parla a circa 5.000 sostenitori di fronte la moschea di ‘Uqba Ibn Nafa‘.

Il gruppo si impone come supremo ‘partigiano della sharî‘a’, come suggerisce il loro stesso nome, Ansâr al-Sharî‘a. Rapporti ufficiali sottolineano che, sebbene bandita come organizzazione terroristica, AST continua a giocare un ruolo influente sulla scena politica tunisina. Nella relazione stilata dal servizio di sicurezza canadese si riporta che:

[…] de nombreux membres d’Ennahda étaient farouchement opposés à la désignation d’Ansar al-Charia comme organisation terroriste […]. Selon des sources internes, dès mars 2012, lorsqu’Ennahda a décidé d’abandonner l’idée d’inclure une mention de la charia dans la Constitution, jusqu’à 20 % des jeunes membres ont quitté le parti. D’autres démissions, dont celles de membres haut placés du parti, ont été signalées à la suite de la désignation d’Ansar al-Charia comme organisation terroriste et de la crise au sein du gouvernement. À la fin de novembre 2013, les membres majoritaires du bureau régional d’Ennahda à Gafsa ont démissionné, invoquant des différends avec les dirigeants du parti.

tradotto: […] molti membri di Al-Nahda erano ferocemente contrari alla nomina di Ansar al-Sharia come organizzazione terroristica […]. Secondo fonti interne, già nel marzo 2012, quando Al-Nahda decise di abbandonare l’idea di includere un riferimento alla sharia nella costituzione, fino al 20% dei giovani membri lasciò il partito. Altre dimissioni, tra cui membri di alto rango del partito, sono state riportate dopo la nomina di Ansar al-Sharia come organizzazione terroristica e la crisi nel governo.. Alla fine di novembre 2013, i membri della maggioranza dell’ufficio regionale di Ennahda a Gafsa si sono dimessi, citando le dispute con i leader del partito.

Dalla violenza al jihad

Il prestigio e la popolarità acquisita da AST tra islamisti radicali e salafiti sembra incoraggiare il gruppo a radicalizzasi ulteriormente. Dalla da‘wa, la predicazione pacifica, AST passa a legittimare la violenza, culminata negli attentati di settembre 2012 diretti contro l’ambasciata americana e la scuola ad essa affiliata, l’AMIDEAST, entrambe situate nel cuore della capitale, a Tunisi.

A ben guardare però, la violenza fa da sempre parte del gioco di AST, tuttavia, la sua struttura decentrata gli permette di difendersi dalle accuse dello Stato soprattutto nella fase iniziale della sua esistenza. Attraverso l’uso della violenza AST riesce ad ottenere il controllo delle moschee e ad imporsi nei quartieri popolari. Sull’ingresso di numerose moschee, di solito sotto il controllo statale, i sostenitori di AST, affiggono cartelli recanti slogan come “Ansâr al-Sharî‘a nella periferia nord di Tunisi”. In tal modo intendono marcare l’occupazione di uno spazio ora in loro possesso. In ogni moschea, un comitato ha il compito di designare un imam scelto tra i membri del gruppo piuttosto che uno nominato dallo Stato. Questi comitati organizzano e monopolizzano ogni attività sia all’interno che all’esterno delle moschee. Nelle moschee organizzano conferenze religiose, lo spazio esterno invece, lo conquistano attraverso attività commerciali consistenti nella vendita di opuscoli e libri attentamente scelti o di altri prodotti come veli femminili, qamis (una sorta di abbigliamento afghano) per gli uomini e profumi.

Ulteriore prova dell’uso della violenza, come mezzo per poter imporre la propria ideologia, sono gli scontri accorsi tra salafiti e studenti della Facoltà di Lettere dell’università ‘La Manouba’ nel 2012. Un gruppo di studenti guidati da Muhammed Bakhti, membro di AST, organizza un sit-in all’interno della facoltà per imporre l’uso del niqab vietato dal rettore Habib Kazadaghli. Coinvolto personalmente il rettore rimane ferito. Scontri, tra simpatizzanti di AST e studenti del sindacato UGET (Union Générale des Étudiantes de Tunisie), iniziano quando un giovane salafita sostituisce la bandiera tunisina con l’ormai nota bandiera nera inneggiante al tawhîd.

La radicalizzazione della predicazione di AST viene stabilita in accordo ad un altro principio islamico: l’hisba. Sviluppato dal teologo medievale persiano al-Ghazâlî, l’hisba è la nozione per cui ogni musulmano è tenuto a “promuovere il bene e proibire il male”. Sfruttando la nozione di hisba, la violenza di AST prende di mira artisti, attivisti, politici, sindacalisti e cittadini inermi. Nei quartieri popolari si registra il più alto numero di casi di aggressione verbale e fisica diretta specialmente contro le donne che non si ‘abbigliano correttamente’, cioè non indossano il velo.

Membri di Ansâr al-Sharî‘a cercano di sostituirsi alla polizia nella cattura di ladri e nel tentativo di risolvere i conflitti interpersonali all’ordine del giorno nei popolosi sobborghi. In più di un’occasione l’assalto ai venditori di alcolici, delle regioni di Sidi Bouzid, Jendouba e Biserta viene attribuito alla cosiddetta “polizia salafita”. Il 27 ottobre 2012, a Douar Hicher, un popoloso sobborgo nei pressi della capitale, si verificarono gravi scontri tra giovani simpatizzanti di AST e agenti della Guardia Nazionale, intervenuti per metter fine alla discordia tra i giovani salafiti e un uomo ubriaco. In quest’occasione un jihadista viene arrestato per aver colpito, sulla testa, con un coltello un agente. Il 30 ottobre i simpatizzanti di AST rinnovano le proteste chiedendo la liberazione del detenuto ma altri scontri costringono le forze di sicurezza a sparare contro due jihadisti, di cui uno era imam. Le autorità sottolineano che gli agenti di sicurezza si vedono costretti ad usare armi da fuoco per legittima difesa dopo che i manifestanti provano a sottrarre l’arma ad una guardia nazionale.

Abû ‘Iyâd e altri esponenti di AST ritengono, inoltre, che un’altra valida occasione per incitare i propri sostenitori alla difesa dell’Islam, attraverso la violenza per loro ‘legittima’, si presenti in occasione dell’esposizione artistica “Printemps des Arts” tenuts annualmente nella galleria di La Marsa, a Tunisi. La polizia interviene facendo chiudere la galleria “AbdilliyaPalace”, alcuni dei quadri esposti, considerati offensivi dai membri di AST, vengono distrutti. Gli scontri che prendono corpo di notte, nei quartieri popolari della capitale e in altre città del paese, sono tra i più significativi che le forze di sicurezza, dalla fine della rivolta del 2010-2011, si trovano costretti a fronteggiare. L’ondata di violenza costringe il Ministero dell’Interno a dichiarare il coprifuoco nelle città di Tunisi, Ariana, Ben Arouss, Manouba, Sousse, Monastir, Jendouba e Ben Guerden. Il portavoce del Ministero dell’Interno e della Difesa dichiara come dietro l’aumento della violenza vi sia un qualche tipo di organizzazione.

Vale la pena notare che la reazione ‘passiva’ del governo del partito alNahda rappresentava una sorta di sicurezza per AST. In effetti, Rachid Ghannouchi, leader del partito islamista, utilizza spesso un linguaggio che riflette la sua tolleranza e il suo eccessivo entusiasmo verso coloro che chiama “i nostri giovani salafiti”. L’indulgente reazione del governo, verso per esempio gli attacchi alla galleria d’arte di La Marsa, di cui si appena parlato, si riflette nelle parole del Ministro degli Affari Religiosi quando dichiara che, i simb oli sacri sono una linea rossa da non valicare. Al-Nahda inizialmente propone di stilare un progetto di legge che criminalizzi la profanazione. Nel frattempo, AST diffonde invece un comunicato per invitare i sostenitori del gruppo alla calma, promettendo, non solo di non dimenticare, ma che presto si verificherà un ulteriore confronto con coloro che fanno della religione blasfemia.

D’altro canto diremo che al-Nahda favorisce l’istituzionalizzazione del takfîr criminalizzando l’ateismo. È questo il caso del blogger Jabeur Mejri condannato, nel marzo 2012, a sette anni e sei mesi di carcere dopo aver “lanciato sul web offese all’Islam e ai musulmani”. Nel corso del 2012 e del 2013, mentre AST diffonde il suo discorso takfirista, per mezzo dei sermoni tenuti nelle moschee incontrollate o nelle conferenze in occasione delle campagne di predicazione, si moltiplicano le aggressioni contro sindacalisti, artisti, politici e agenti di sicurezza. La violenza diventa routine. L’imam di Sidi Ali Ben Salih, nella città di Le Kef, per esempio, istiga all’omicidio di poliziotti ritenuti taghut, tiranni.

L’istituzionalizzazione del discorso takfirista incita agli omicidi e fa sì che si verifichino numerosi casi di aggressione, in nome della difesa dell’Islam. Pur se molte aggressioni non siano attribuibili ad individui affiliati ad AST, il gruppo rimane il principale agente di sponsorizzazione della violenza che raggiunge il suo culmine con l’assassinio di due noti leader di sinistra. Il 6 febbraio 2013 perde la vita Chokri Belaid e il 25 luglio 2013, in occasione della celebrazione della Festa della Repubblica, viene ucciso Mohammed Brahmi. Le autorità tunisine confermano che Ansâr al-Sharî‘a si cela dietro entrambi gli omicidi e che, lo stesso gruppo, sia responsabile della decapitazione di otto soldati che perdono la vita sulle alture del Monte Chaambi, sempre nel mese di luglio 2013.

A marzo dello stesso anno invece, un gruppo affiliato ad AST, noto come ’Ahl al-Tawhîd bî Siliana (“La Gente del Tawhîd di Siliana”), emette un comunicato in cui si assume la responsabilità dell’assassinio di alcuni soldati nella regione di Jendouba. Il comunicato riporta i dettagli dell’operazione militare e glorifica gli esecutori vittime degli scontri con le forze di sicurezza. La moltiplicazione delle operazioni militari sul Monte Chaambi, nella regione del Kef, nella città di Sidi Bouzid e nelle aree popolari delle zone urbane della periferia di Tunisi, confermano l’inizio della lotta armata di Ansâr al-Sharî‘a contro il governo tunisino.

Ansar al Sharia: parte del jihad globale

I combattenti tunisini stringono un primo contatto con i membri di al-Qa‘îda verso la fine degli anni Ottanta durante la guerra in Afghanistan. A differenza di molti ‘afghani arabi’, i tunisini falliscono nel fondare un proprio gruppo combattente. È in Europa, invece, che i legami tra al-Qa‘îda e i jihadisti tunisini si rafforzano durante il conflitto in Bosnia. Sami Essid e Tarek Maaroufi, entrambi tunisini, si impongono come leader di cellule jihadiste europee, rispettivamente in Italia e in Belgio, soci de ‘la base’ mondiale il cui obiettivo è quello di colpire gli interessi europei nel contesto della dichiarata guerra contro l’Occidente.

Nel 2000, Abû ‘Iyâd e Tarek Maaroufi fondano, nella città afgana di Jalalabad il TCG e, su ordine di alQa‘îda, assassinano il leader afgano Ahmâd Shâh Mass‘ûd. A partire dal 2005 invece, un’ondata di tunisini partecipa alla guerra in Iraq, sempre a fianco di al-Qa‘îda. Documenti stilati dall’intelligence americana confermano la consistente presenza tunisina in Iraq tra le schiere dell’esercito jihadista. Accademici osservano che Abû ‘Iyâd intrattiene stretti contatti con Abû Qatâda, leader di al-Qa‘îda in Europa, e con Abû Musab al-Zarqâwî, emiro di al-Qa‘îda in Iraq, anche nota come al-Qa‘îda nella Terra dei Due Fiumi. Inoltre, nei campi di addestramento di Darunta, in Afghanistan, Abû ‘Iyâd, che “produce e sperimenta armi chimiche”, fa la conoscenza di Abû Mus‘ab al-Zarqâwî descritto, dallo stesso Abû ‘Iyâd, in una lettera inviata ad Abû Qatâda, come “una persona generosa, onesta che sarebbe felice di sacrificare la sua anima e i suoi beni per voi”.

Non sorprende che, nonostante Abû ‘Iyâd sottolinei con enfasi il fatto che la Tunisia sia una terra di da‘wa, al contempo confermi le affinità ideologiche di AST con al-Qa‘îda. In un’affermazione emessa nel mese di settembre2013, alcuni giorni dopo che il governo tunisino designa AST ‘organizzazione terroristica’, Abû ‘Iyâd dice:

We remind again that our blessed method is declared and there

is no hiding in it, and regarding our loyalty to Qaedat al Jihad

and the jihadi formations, we have declared it from the first day

and we are not ashamed to renew today our declaration with a

louder voice

A conferma dei legami di AST con il jihad globale, Abû ‘Iyâd rilascia un’altra dichiarazione, in forma di corrispondenza con Abû Bakr alBaghdadî, leader dell’ISIL e con Ayman al-Zawâhirî, portavoce di alQa‘îda. Nella lettera, intitolata Min Wahy Futuhât al-Irâq, (“Ispirazione dalle Conquiste dell’Iraq”), Abû ‘Iyâd si congratula con i Mujâhidîn in Iraq e in Siria per le nuove conquiste raggiunte e, al contempo, invita i noti jihadisti ad investire tali vittorie in modo tale da avvicinare, o unire, i diversi fronti jihadisti. Abû ‘Iyâd invita Ayman al-Zawâhirî e Abû Muhammad alJulani (leader della brigata ‘Jabhat al-Nusra’ attivo in Siria) a benedire le conquiste dell’ISIS, sotto la leadership di Abû Bakr al-Baghdadî, in modo tale da porre fine ai crescenti conflitti tra le varie formazioni jihadiste e poter preparare il terreno per una riconsiderazione della strategia jihadista, alla luce della mutevole situazione nella regione del Nord Africa e del Medio Oriente.

La lettera di Abû ‘Iyâd richiama l’attenzione sulla natura e sulle motivazioni strategiche dei legami esistenti tra le diverse formazioni jihadiste del Nord Africa e del Medio Oriente: ASL (Ansâr al-Sharî‘a in Libia), ASE (Ansâr al-Sharî‘a in Egitto), AQIM e ISIS. La lettera, scritta nel mese di giugno, coincide con la dichiarazione della fondazione dello Stato Islamico in Siria e in Levante da parte di Abû Bakr al-Baghdadî che, nella stessa occasione, si dichiara Califfo. Questa ‘coincidenza’ dimostra che AST sia molto più che un gruppo di da‘wa e che svolge un ruolo chiave nell’estensione del fronte di battaglia come parte del piano strategico jihadista sviluppato da teologi come al-Zawâhirî e Abû Bakr Nâjî.

L’approccio dell’attivismo sviluppato da Ansâr al-Sharî‘a in Tunisia, negli ultimi quattro anni, manifesta la sua familiarità con i principi e con le tattiche jihadiste mondiali contemporanee, oltre al fatto che AST mostra chiaramente il suo desiderio di stabilire un califfato in Tunisia. La stessa etichetta “Ansâr al-Sharî‘a”, rivela che AST sia ideologicamente connessa ad un progetto jihadista che si articolata in più gruppi, apparentemente predicativi, apparsi contemporaneamente nei paesi colpiti dai radicali cambiamenti politici della ‘Primavera Araba’: Tunisia, Libia, Egitto e Yemen. In un testo intitolato Nahn Ansâr al-Sharî‘a, il prominente jihadista mauritano Abû Mundhir al-Shanqîtî sostiene che tale etichetta debba servire a differenziare i jihadisti all’interno dell’amalgama della mouvance salafita e soprattutto a definire il loro progetto: stabilire la sharî‘a in questi paesi mantenendosi al di fuori della sfera politica.

La posizione di prestigio raggiunta da AST è dunque supportata dal continuo sostegno degli influenti leader e Shayk del jihad globale: Ayman al-Zawâhirî, Abû Qatâda al-Filastînî, Abû Mundhir al-Shanqîtî e Abû Muhammad al-Maqdîsi. Questi noti jihadisti in più di un’occasione inviano lettere indirizzate ad Ansâr al-Sharî‘a in Tunisia poi diffuse sia sul web che durante le riunioni del gruppo. Le lettere mettono in evidenza l’esistenza dei collegamenti diretti tra AST e al-Qa‘îda e i suoi legami con altre formazioni jihadiste in Yemen e in Egitto. Con queste lettere si incoraggia a continuare la missione predicazione e si incita esplicitamente all’avvio del confronto con il governo di al-Nahda. Il periodo più fertile della corrispondenza coincide con il cambiamento strategico di AST verso la dichiarazione del jihad proprio contro lo Stato tunisino.

Allo stesso modo, la lettera di Abû Qatâda al-Filastînî raccomanda ad AST di “restare indipendente” e che “l’unica bandiera sotto la quale poter agire è Ansâr al-Sharî‘a”. Abû Qatâda incita AST a cooperare con Ansâr al-Sharî‘a in Libia. Egli sottolinea il fatto che:

L’estremismo e l’eccesso non servono a questa da‘wa. La umma

è stata ingannata e danneggiata e ha quindi bisogno di

misericordia e semplicità. Sono così felice per quello che state

facendo e per le carovane di aiuto che state inviando alle

regioni in difficoltà in modo da continuare [la nostra missione]

e non cedere alle pressioni dei criminali ingiusti

(testo tratto da: Abû Qatâda, Risala ila Ansâr al-Sharî‘a bî Tûnis).

Ancora più significativa è tuttavia l’allusione “ai criminali”, posta in fondo alla lettera, in cui Abû Qatâda ricorda ad AST dell’obbligo religioso di combattere i nemici:

Per quanto riguarda al-Nahda, i loro leader politici hanno

dimostrato la loro inimicizia nei vostri confronti poiché si sono

alleati con i laici contro di voi. Inoltre sono diventati i leader

della campagna contro la vostra da‘wa quindi non esitate a

dichiarare la loro corruzione e aberrazione […]. Quel che alNahda

ha fatto non è altro che unire i nemici dell’Islam contro i

loro fratelli musulmani. Pertanto, la norma relativa a coloro

che si allineano con loro è, come sapete molto bene, la stessa

norma che vale per coloro che combattono i musulmani.

La stessa raccomandazione viene resa ancora più chiaramente da al-Shanqîti che, in un testo in arabo il cui titolo potrebbe essere reso in italiano come “I crimini di al-Nahda. Fino a quando?”, incita AST e la gioventù tunisina a prepararsi per il jihad affermando:

È ormai divenuto definitivamente chiaro che il governo di alNahda insiste sullo spargimento di sangue e impedisce di predicare la religione di Dio […]. Se l’inimicizia continua [i giovani] devono correre in zone adiacenti dove poter preparare e formare brigate che possano difenderli e permettergli di resistere al governo oppressivo perché, come è noto, combattere il nemico occupante è un dovere supremo.

Il messaggio audio di Ayman al-Zawâhirî, indirizzato ad AST, arriva solo un mese dopo la seconda riunione annuale del gruppo, nel mese di giugno 2012, in un contesto politico caratterizzato da crescenti tensioni tra AST e al-Nahda che esclude ufficialmente la sharî‘a dalla nuova costituzione, come accennato in precedenza. Abû ‘Iyâd non tarda a rispondere al messaggio di al-Zawâhirî e critica l’islamismo americanizzato di al-Nahda. Abû ‘Iyâd si rivolge, a coloro che chiama “i liberi della Tunisia”, dicendo loro:

incitate il vostro popolo a mobilizzarsi per un movimento di

predicazione popolare e provocatorio a sostegno della Sharî‘a,

dell’affermazione dell’Islam e del governo del Corano. Mettere

in guardia gli insolenti musulmani tunisini verso ciò che viene

fabbricato e destinato ad essi. Diffondetevi tra la gente, vagate

per città e villaggi, riempite strade e città e proseguite la

trasmissione nelle moschee, nelle scuole, nelle università e nelle

società musulmane…

La predicazione di Ansâr al-Sharî‘a non si serve solo della violenza, ma degenera progressivamente verso la dichiarazione del jihad. AST come gruppo jihadista tunisino fa parte della lotta jihadista globale che mira al restauro del califfato attraverso il controllo graduale dei paesi della regione MENA (Nord Africa e Medio Oriente). La strategia di passaggio dalla da‘wa al jihad, riflette una filosofia in gran parte ispirata e influenzata, non solo dalle esperienze collezionate dai tunisini in seno ad al-Qa‘îda, ma anche dal legame con strateghi jihadisti tra cui Abû Bakr Nâjî autore del già citato testo ‘Management of Savagery’ (La gestione della ferocia) una delle opere jihadiste più articolate mai scritte prima.

È proprio al testo di Abû Bakr Nâjî che fa eco la strategia scelta da AST: creare un vuoto di potere, delle “zone di barbarie”, in modo tale da preparare il terreno per la creazione di un emirato islamico. Nâjî fa spesso riferimento alla Tunisia e al Nord Africa sottolineando l’importanza cruciale che la regione assume nella decisiva lotta jihadista globale per il restauro del califfato.

Sebbene non del tutto esatte, le asserzioni profetiche di Nâjî sembrano esser un’importante linea guida per l’elaborazione delle strategie jihadiste. Allargando le “zone di barbarie” i jihadisti solidificano la loro presenza nella regione estendendo il loro dominio.

Appare impossibile trascurare i fattori esterni a cui assistono i confini tunisini prossimi alla Libia e al Mali. È in Libia, per esempio, che vengono stoccate le armi pronte ad esser contrabbandate con la Tunisia. Inoltre, l’aspetto armato della rivolta libica fa sì che anche nei territori tunisini insorgano frequentemente attacchi jihadisti. Una prima manifestazione di questo  attivismo risale agli scontri dei primi mesi del 2011, nella cittadina di Rouhiyya, a 200 km a nord ovest della capitale. Il 18 maggio 2011, un gruppo di jihadisti tunisini, connessi ad AQIM, come sottolinea il Ministero degli Interni, uccide quattro militari tunisini. Le autorità sottolineano che urge sicurezza in Libia in quanto la situazione di questo Stato è determinante nel favorire gli attacchi di AST e di AQIM, oltre che la loro cooperazione nella zona occidentale del paese, sul monte Chaambi. Vari rapporti di sicurezza internazionale sostengono le conclusioni a cui sono arrivati i funzionari tunisini dopo lunghi anni di indagini; nel rapporto canadese, per esempio, si sottolinea che:

Molti giovani tunisini hanno combattuto nella guerra contro il colonnello Gheddafi, e ciò ha permesso loro di imparare a allenarsi e ottenere armi che sono state spesso introdotte illegalmente in Tunisia. L’intervento della Francia in Mali ha anche spinto alcuni tunisini a combattere a fianco dei separatisti tuareg e dei ribelli islamici legati ad al Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM). Quando hanno perso terreno nel nord del Mali, alcuni combattenti si sono stabiliti in Tunisia e si sono nascosti nella regione del Monte Chaambi così come nel governatorato di le Kef.

A parte all’infiltrazione militare nelle ‘zone di barbarie’, in queste terre i jihadisti devono accaparrarsi il sostegno popolare fornendo servizi umanitari, cibo, abbigliamento e cure mediche. Il sud tunisino vive una situazione caotica sin dall’inizio delle rivolte in Tunisia e in Libia, infatti, durante le prime settimane del conflitto libico, più di un milione di migranti arrivano in questa zona del paese. Rapporti dichiarano che un gruppo di “islamisti” stabilisce, in competizione con lo Stato tunisino e altre organizzazioni internazionali come la Croce Rossa, uno spazio indipendente, in cui servono più di 6.000 pasti al giorno, all’interno del campo umanitario di Choucha. Nello stesso periodo, sui media locali, inizia a circolare la notizia della creazione di uno Stato islamico nella città di Ben Guerden. I media riportano che, un gruppo di ‘islamisti barbuti’, sconosciuti alla gente del luogo, non permette lo scambio tra libici e tunisini di cibo e benzina, principali attività e risorse economiche della regione: Gli islamisti impongono, sull’amministrazione scolastica locale, la separazione dei sessi all’interno delle classi e iniziano ad organizzare circoli nelle moschee in cui predicano e diffondono l’idea di uno Stato Islamico a Ben Guerdane.

D’altro canto, come detto, la prima da‘wa di AST, consisteva in convogli umanitari pacifici che, raggiungendo numerose regioni del paese, gli ha permesso di occupare sia le moschee che lo spazio pubblico locale da investire per la propaganda di AST. È così che il gruppo si impone come sistema parallelo allo Stato in grado di sopperire alle sue mancanze. Abû Bakr Nâjî sottolinea l’importanza della progressiva intensificazione della violenza che risulta essere necessaria per polarizzare l’opinione pubblica dei musulmani, e far sì che questi ultimi possano sostenere e “combattere tra le fila del popolo della verità e morire per il bene”.

Seguendo tale linea di pensiero, condivisa da altri jihadisti tra cui Ayman alZawâhirî, AST, in nome della difesa dell’Islam e forte dell’opinione pubblica persuasa della legittimità di questa violenza, attacca gallerie d’arte, sedi televisive e istituzioni americane. I quartieri popolari di Tunisi e di altre città del paese assistono a frequenti scontri con la polizia, con la Guardia Nazionale e l’esercito, costringendo spesso le autorità a dichiarare il coprifuoco. Nel frattempo, il gruppo continua a preparare lo stoccaggio di armi e ad infiltrarsi all’interno del paese preparandosi a quella che Nâjî chiama “fase del potere di vessazione e di esaurimento”, ossia la fase in cui si disperdono le forze delle autorità locali attraverso il potenziamento degli attacchi diretti ai militari e alle importanti risorse economiche del paese. Infatti, oltre agli assassini politici e agli attacchi ai militari, nel 2013, con le operazioni di Sousse e Monastir, AST attacca il settore turistico, base dell’economia statale.

La classificazione di Ansâr al-Sharî‘a in Tunisia come organizzazione terroristica contribuisce a radicalizzare la da‘wa rivendicata dai suoi leader, specialmente durante la prima fase di apparizione pubblica. In una dichiarazione rilasciata il 3 settembre 2013, pochi giorni esser stata messa al bando, Ansâr al-Sharî‘a si rivolge ai “tiranni di Tunisi” per avvertirli che la battaglia è diventata “una battaglia per la sopravvivenza” e che il gruppo “non incolpa chi reagisce all’ingiustizia”

Il messaggio è una sorta di dichiarazione di guerra e un suggerimento diretto alla continuazione degli attacchi armati in Tunisia che, si moltiplicano con la stessa messa al bando di AST, come conferma la dichiarazione da essi rilasciata. Nella dichiarazione vengono glorificati gli attacchi jihadisti mentre si usa un tono minaccioso per rivolgersi a “coloro che hanno dichiarato guerra all’Islam”: le operazioni a cui ha assistito la terra di Kairouan, sin dallo scorso maggio, condotti da fratelli jihadisti dalle montagne, AQIM, sono una prova che l’unica lingua comprensibile è la lingua della forza e che l’unica voce ascoltata è quello delle pallottole.

Come dichiarato dalle autorità tunisine, la dichiarazione di Ansâr conferma l’esistenza dei legami tra AST e al-Qa‘îda per mezzo della collaborazione con la sua ramificazione nordafricana, AQIM. Inoltre, la lettera di Abû ‘Iyâd sopra menzionata, rivela che AST è in collegamento con l’ISIS e il suo califfo Abû Bakr al-Baghdâdî infatti gli Ansâr tunisini inviano centinaia di combattenti in Siria, la maggior parte dei quali sono affiliati all’ISIS. Ansâr al-Sharî‘a, grazie ad una campagna di propaganda basata sul martirio, attira l’attenzione di migliaia di giovani tunisini verso il jihad in Siria. Numerose le immagini pubblicate dal gruppo sulle pagine internet in cui vengono mostrati i cadaveri dei combattenti glorificati come martiri.

I principali membri di AST, come Kamal Zarrouq, anch’egli ex-combattente sul fronte siriano, contribuiscono a propagandare il gruppo, facendo leva su più di otto mila tunisini impossibilitati a raggiungere la Siria poiché scoperti dalle autorità locali. Il governo tunisino non nasconde la sua preoccupazione per il ritorno in patria di questi jihadisti e per l’instabilità  che ancora caratterizza la Libia, paese che favorisce lo sviluppo dell’attivismo jihadista guidato da diversi attori jihadisti locali, nonché da Abû ‘Iyâd che, al momento, pare aver trovato rifugio proprio nella città libica di Derna. Oggi, la Tunisia è più che mai terra di jihad. I membri di AST e lo stesso leader Abû ‘Iyâd sono infatti consapevoli dell’importanza del serbatoio di combattenti tunisini che, al rientro in patria, carichi dell’esperienza acquisita, possono essere impiegati nel paese. Per tal ragione Abû ‘Iyâd si indirizza ai suoi seguaci dicendo:

Vi ricordo che i nostri giovani che hanno difeso eroicamente l’Islam Afghanistan, Cecenia, Bosnia, Iraq, Somalia e nel Levante non esiteranno a sacrificarsi per la difesa della religione nel terra di Kairouan: quelle terre lontane non lo sono più care ai nostri giovani rispetto al loro stesso paese!

Conclusioni (scritte nel 2015)

Il significativo ruolo politico svolto da Ansâr al-Sharî‘a in Tunisia (AST) si palesa nel successo che il gruppo raggiunge nel guadagnarsi la simpatia e il supporto di una considerevole fetta di gioventù che, nei primi giorni della Rivolta del 2011, costituiva il motore della lotta sociale e politica a favore della libertà, del dritto al lavoro e della dignità nazionale.

AST, ben attenta a non entrare in una prematura lotta contro il regime e ad ottenere il supporto popolare, inteso come parte della preparazione al jihad, si presenta alla gioventù furiosa, disoccupata e oppressa del nuovo contesto socio-politico marcato da incertezza e disillusione, come un gruppo la cui missione predicativa pacifica punta ad insistere sull’Islam come alternativa e soluzione alla fragile realtà. Traendo vantaggio dalla storica apertura politica verso gli islamisti e l’attivismo salafita, Ansâr al-Sharî‘a enfatizza l’aspetto missionario dell’organizzazione, talvolta confondendo le sue differenze ideologiche con quelle delle altre formazioni salafite e islamiste. Così, nei popolosi sobborghi e nelle isolate regioni rurali del paese, l’apparente predicazione di AST e le sue carovane di beneficienza, diventano un’occupazione metodica e spesso violenta dello spazio pubblico marginalizzato sia a livello economico che sociale. Il relativo vuoto lasciato dall’assenza statale viene accuratamente investito da AST sotto molteplici aspetti. Per esempio, soprattutto in coincidenza di calamità naturali, AST fornisce a queste zone degradate l’urgente e vitale assistenza umanitaria sostituendosi alla municipalità nell’organizzazione di campagne di pulizia e riparazione stradale. È in queste occasioni che AST tiene convogli umanitari. In queste occasioni i predicatori si rivolgono al pubblico screditando lo Stato incapace di garantire i bisogni primari dei cittadini. Per i membri di AST il governo al potere è apostata ed è solo con l’instaurazione di uno Stato Islamico che si può porre fine alle ingiustizie così da proteggere le terre dell’Islam occupate e sfruttate dall’Occidente.

Le prime attività del gruppo non si concentrano solo sul supporto dei propri connazionali in condizioni di disagio. Infatti, sin dall’inizio AST predica a favore dalla scarcerazione dei jihadisti tunisini detenuti in Iraq facendo propaganda al gruppo tramite i social network, da una parte, glorificando i martiri jihadisti e, dall’altra, sottolineando la complicità dei regimi arabi con l’Occidente invasore e apostata.

Questo tipo di discorso, affine alle linee guida della dottrina jihadista, viene diffuso in un centinaio di moschee da loro occupate. I predicatori, precedentemente detenuti nelle carceri tunisine o di ritorno dall’esilio, a seguito della caduta del regime di Ben Ali, supportano il discorso di AST contribuendo alla visibilità e alla popolarità del gruppo che, nel maggio 2012 (NdR: quindi 15 mesi prima di essere stato dichiarato una entità terroristica!!!) al meeting annuale di Kairouan, legalizzato dalla troika islamista al governo, raggiunge migliaia di sostenitori.

Sebbene la retorica dei leader di AST insista sulla pacifica da‘wa risulta che questa stessa predicazione sia stata favorevole allo sviluppo del progetto jihadista avente ambizioni a livello locale e globale. La cooperazione con altre  formazioni jihadiste come Al-Qa‘îda nel Maghreb Islamico e Ansâr alSharî‘a in Libya (ASL), con cui i combattenti tunisini si addestrano e stoccano armi, è basilare per la graduale intensificazione della violenza nei territori della Tunisia che, non più terra di da‘wa, diventa un campo di battaglia tra i jihadisti della regione e lo Stato tunisino.

Inoltre, il numero di giovani reclutati da AST pronti a partire per raggiungere l’ISIS in Siria, prova il significativo coinvolgimento di AST nel progetto jihadista globale, una vera e propria minaccia per l’attuale realtà internazionale. Le ambizioni del piano jihadista globale si spingono, infatti, ben oltre il Medio Oriente e il Nord Africa raggiungendo il cuore dell’Europa.

Non sorprende, dunque, il fatto che, i veterani tunisini alla guida di AST, forti dell’importante esperienza militare acquisita negli ultimi venti anni nelle cellule jihadiste transnazionali europee, abbiano preso parte alla preparazione dell’attacco armato in Francia, nelle primissime settimane del 2015. Dai rapporti internazionali si rileva infatti che gli esecutori  dell’attacco a Charlie Hebdo trascorsero un periodo di tempo in Tunisia addestrandosi con il franco-tunisino Abû Bakr al-Hakîm, un membro dell’ ISIS in stretto contatto con AST.

I rapporti strategici instaurati dai membri di AST con gli autori della pianificazione del progetto jihadista globale è inoltre confermato dalla migrazione, in Siria, di personaggi chiave di AST dopo che il gruppo viene definito un’organizzazione terrorista (agosto 2013). Video rilasciati sul web, databili a fine dicembre 2014, mostrano alcuni jihadisti tunisini, precedentemente affiliati ad AST, come Kamal Zarrouq confermare il fatto che essi stiano combattendo a fianco dell’ ISIS. Ad oggi, le autorità tunisine temono il ritorno in patria di questi combattenti. Le stesse istituzioni confermano inoltre che, Abû ‘Iyâd al-Tunisi si sia rifugiato a Derna, in Libia dove, grazie al ritorno dei combattenti tunisini, pare stia organizzando un’alleanza strategica da investire in tutto il Nord Africa.

I collegamenti tra al-Qa‘îda e ISIS si manifestano al meglio nell’interessante frequenza della corrispondenza reciproca tra AST e i più noti jihadisti come Abû Qatâda, al-Zawâhirî e il Califfo dello Stato Islamico recentemente dichiarato: Abû Bakr al-Baghdâdî. In una lettera intitolata “Min Wahy Futuhat al-Iraq”, il leader di AST, Abû ‘Iyâd, chiede a al-Baghdâdî e a alZawâhirî, i leader delle due maggiori formazioni jihadiste, di risolvere i loro conflitti di interesse a vantaggio della continuità e dell’efficacia dell’attuale lotta jihadista in differenti paesi della regione.

Cosciente dell’importanza strategica della Tunisia e, in generale, del fronte nordafricano, Abû ‘Iyâd invita al-Baghdadi ad cooperare maggiormente e a rivalutare le strategie del jihad in Siria e in Iraq a beneficio degli altri fronti di guerra nella regione. Nello stesso contesto, le continue lettere e messaggi di supporto indirizzati ad AST e ai suoi seguaci dall’influente al-Zawâhirî e da Abû Qatâda che incoraggiano i tunisini ad unirsi ad AST nella lotta per la supremazia della sharî‘a e del credo del tawhid riflette l’intensità della lotta tra al-Qaeda e l’ISIS per accaparrarsi il supporto e l’alleanza dei jihadisti della regione.

Inoltre, analisti osservando gli ultimi sviluppi della scena jihadista globale sottolineano il fatto che l’aumento della rivalità tra al-Qaeda e l’ISIS sta contribuendo a dividere le formazioni jihadiste che sembrano essere indecise date le dichiarazioni contraddittorie in cui si esita nel manifestare alleanza all’una o all’altra formazione.

Infine, vale la pena notare che, nonostante la messa al bando del gruppo, i continui arresti di individui presumibilmente pericolosi, le successive campagne di sicurezza, eventi associati all’estremismo religioso, continuano ad essere parte della realtà tunisina. Il 3 gennaio 2015, un agente di polizia viene decapitato nella regione nordoccidentale del Fahs mentre a sud, nella città di Qayrawân viene bruciato il santuario di Sidi Siuri.

Il 4 febbraio 2015, le forze di sicurezza dichiarano di aver rilevato, in un’abitazione sita nel cuore della capitale, munizioni, bombe ed esplosivi pronti per essere utilizzati in caso di attacchi terroristici. Questi ed altri eventi di simile portata sottolineano che l’influenza del discorso jihadista è ad oggi notevole su una buona parte dei giovani tunisini, nonostante Ansâr al-Sharî‘a sia vietata nel paese. Il fatto che il gruppo non sia più attivo nei territori tunisini non significa che non abbia lasciato tracce ideologiche su parte della gioventù. In questo contesto, la nascita, nel mese di marzo 2014, di una nuova organizzazione, nota come Shabâb al-Tawhîd (ST), secondo alcuni analisti potrebbe essere una riattualizzazione del ruolo giocato da AST nei sobborghi popolari e nelle zone rurali del paese. Tale constatazione non fa altro che aggiungere ulteriore pelplessità sulla natura della presenza di AST nelle aree maggiormente svantaggiate dopo la sua messa al bando

Continua….