Quadro storico del Jihad tunisino

Il manifesto di Ansâr al-Sharî‘a, scritto nel maggio 2011 da Saîf Allâh Bin Hassine, meglio noto come Abû ‘Iyâd, è un chiaro atto d’accusa contro il governo tunisino incolpato di “governare secondo regole diverse da quelle Divine”. La citazione invita al rispetto del principio islamico di hâkimiyya, nozione primordiale per i jihadisti moderni. Pochi mesi dopo la caduta del regime di Ben Ali, il leader di Ansâr al-Sharî‘a in Tunisia (AST) rende noto il suo obiettivo politico. Abû ‘Iyâd intende far applicare la sharî‘a in un paese la cui storia, sin dall’indipendenza del 1956, è caratterizzata dalla presenza di regimi secolari che aboliscono totalmente la funzione delle istituzioni islamiche, sia in ambito giuridico che in quello educativo. La tendenza radicale del gruppo viene confermata nel 2013 quando le autorità tunisine definiscono AST un’organizzazione terroristica responsabile di diversi atti di violenza nel paese.

Nel mese di agosto 2013, dieci soldati tunisini muoiono e ventiquattro rimangono feriti negli scontri tra l’esercito tunisino e la brigata jihadista ’Uqba Ibn Nâfa’, sulle alture del monte Chaambi, ai confini occidentali del paese. L’affiliazione e i collegamenti del gruppo, sia con AST che con AQIM (al-Al-Qa‘îda nel Maghreb Islamico), è ufficialmente confermata dalle autorità tunisine110. L’attivismo jihadista in Tunisia è evidente e continuo soprattutto a partire dalla caduta del regime di Ben Ali nel 2011. Il nome scelto dalla brigata è, d’altro canto, indicativo della loro natura politica. La denominazione, infatti, suggerisce la rinascita delle prime conquiste islamiche del VII secolo in Ifrîqiya, la moderna Tunisia. Nel 670 d.C., il generale omayyade ‘Uqba Ibn Nâfa‘ fonda, nel centro del paese, la città di Qayrawân (Kairouan). Da allora Kairouan è la capitale islamica del Nord Africa.

Bisogna tuttavia sottolineare che l’attivismo jihadista tunisino non nasce all’indomani della rivolta del 2011. Atti di violenza, attribuiti a gruppi radicali, si manifestano in diverse occasioni sia a partire dagli anni ’80, durante il governo di Bourguiba, sia durante gli anni 2000, con il regime di Ben Ali. È inoltre interessante notare che, il jihadismo tunisino, negli ultimi venti anni, ossia a partire dalla sua nascita, si struttura in un fenomeno diasporico particolarmente attivo all’estero. Tuttavia, rispetto a paesi come l’Arabia Saudita (in cui il salafismo wahhabita rappresenta la dottrina religiosa ufficiale dello Stato) o l’Egitto (in cui l’esistenza dei Fratelli Musulmani risale agli inizi del XX secolo), in Tunisia non pare esserci traccia dell’esistenza dell’islamismo, inteso come tendenza politica ispirata all’Islam, o del salafismo radicale, prima degli anni Settanta del secolo scorso.

Islam e politica in Tunisia dal Medioevo all’Indipendenza

In generale, la storia medievale tunisina non fornisce tracce importanti né del salafismo, inteso in tempi moderni come tendenza islamica all’imitazione letterale dei salaf, né del jihadismo, ossia dell’attivismo militare motivato dalla religione. Le fonti storiche difficilmente citano esempi di posizioni radicali assunte dagli ulema medievali tunisini.

La storia medievale della Tunisia mostra dunque che non ci siano forme rilevanti di radicalismo religioso. L’approccio moderato della scuola malikita continua, pertanto, a manifestarsi durante il corso del XVIII secolo, quando gli ulema tunisini si schierano decisamente contro la ferrea predicazione wahhabita di ritorno ai salaf. Ibn ‘Abd al-Wahhâb indirizza una lettera al popolo del Maghreb in cui descrive la sua predicazione del tawhîd. In questa lettera egli afferma che “chi non risponde all’appello pacificamente verrà ingiunto con forza”. Il Qâdî Abû Hafs ‘Umâr, Gran Muftì e segretario del bey di Tunisi, risponde a Ibn ‘Abd al-Wahhâb con tali parole:

“crediamo che tu sia ciò che Dio ha descritto come un ingannatore che usa il nome di Allah per favorire le sue ambizioni mondane”.

La scuola malikita tunisina, non solo rifiuta i suggerimenti wahhabiti ma incoraggia i riformisti del XIX secolo ad introdurre cambiamenti all’interno delle istituzioni islamiche classiche. Questi ulema sentono il bisogno di apportare innovazioni sia in ambito educativo che giudiziario e non mostrano alcuna opposizione alla maggior parte delle riforme del Primo Ministro Khayr al-Dîn Pasha (1822-1889), il quale rinnova la moschea Zaytûna sostenendo un processo di modernizzazione che, sebbene basato sul modello occidentale, rispettasse i principi dell’identità araba musulmana.

Islam e nazionalismo

Quando i francesi colonizzano la Tunisia, nel 1881, le autorità locali e religiose mostrano inizialmente una sostanziale passiva accettazione. Gli ulema della Zaytûna, non deliberano alcuna fatwâ in nome del jihad contro l’invasore. Al contrario, nel 1885, sostengono la colonizzazione agricola delle terre tunisine in loro possesso, deliberando fatwâ a favore dell’amministrazione coloniale. Viene anche permesso, durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, quando i giovani tunisini, assunti come braccianti nel settore agricolo francese o arruolati nell’esercito dei colonizzatori, ottengono il permesso di interrompere il digiuno nel mese di Ramadan.

Solo verso la fine dell’Ottocento, iniziano a diffondersi, proprio tra le scuole fondate dai colonizzatori, idee nazionalistiche. Alcuni scolari della Zaytûna (riformisti) insoddisfatti dell’esistente gerarchia religiosa tradizionale, conducono la resistenza islamica contro la colonizzazione francese. Tra questi, Mohammed Snussi (m. 1900), sostenitore della “segreta società pan-islamica” di Muhammad ‘Abduh, riceve quest’ultimo in Tunisia nel 1884 e nel 1885. Guidati da Muhammad Snussi, docente presso l’università Zaytûna, un gruppo di ulema protesta contro gli occupanti in una serie di manifestazioni accorse  nel 1885. Lungi dall’attivismo jihadista, il movimento è di mera protesta. La futura generazione di leader si organizza per formare il gruppo noto come ‘Giovani tunisini’, un cerchio che comprende studenti di scuole francesi e diplomati della scuola islamica Zaytûna rappresentati da ‘Abd al Azîz Tâlbi (m. 1944), colui che diventerà uno dei fondatori del partito Destour, l’unico partito rappresentativo della Tunisia indipendente fino al 1930.

I leader di questa generazione sono riformisti di orientamento liberale i quali vengono definiti “sostenitori della modernizzazione, dell’occidentalizzazione della società tunisina e della rinascita della cultura araba”. Critici verso la superata metodologia islamica tradizionale, i Giovani Tunisini cercano di riformare l’amministrazione religiosa legale ed educativa sponsorizzando una scuola coranica riformista che introduca, oltre allo studio del Corano, altre discipline quali l’aritmetica, la geografia, la storia e l’apprendimento della lingua francese.

Nel 1920 alcuni membri dei Giovani Tunisini fondano il Partito liberale Destour (“Costituzione”). Gli obiettivi principali della loro agenda politica sono:

  • parità di diritti tra tunisini e francesi
  • libertà di stampa e di associazione
  • ripresa della Costituzione del 1861
  • libertà delle minoranze religiose

Queste finialità vengono diffuse attraverso il giornale ‘Il Tunisino’. I leader del partito Destour, riformisti pacifisti, utilizzano la religione al servizio della causa nazionalista. In più di un’occasione, le manifestazioni di protesta coincidono con feste sacre, come quella celebrata in onore del compleanno del Profeta. Slogan come “Dio ci controlla; il partito Destour è il nostro supporto” o “sono tunisino e non cambierò la mia religione”, uniscono così la solidarietà nazionale a quella religiosa. Questa coincidenza non è casuale. Infatti, il fenomeno si manifesta soprattutto a partire al momento in cui, i colonizzatori francesi incoraggiano la loro naturalizzazione, ritenuta dai leader del Destour come apostasia.

Nel 1934, il partito Destour viene sostituito dal Neo-Destour, un nuovo partito liberale i cui leader, Habib Bourguiba incluso, dalla mentalità laica hanno precedentemente studiato in Francia. Raggiungere l’indipendenza nazionale è il progetto del nuovo partito. Habib Bourguiba, segretario generale del Neo-Destour, propone di adottare un regime democratico.

Grazie al modello dei leader nazionalisti della fine degli anni Ottanta del XIX secolo (quello fornito da Mohammed Snussi e da ‘Abd al-Azîz Tâlbi), la moderna generazione politica laica tunisina è consapevole dell’effetto positivo che si può avere sulle masse, nella lotta anti-coloniale, attraverso l’uso politico della religione. È in tal modo che il Neo-Destour riesce a contenere e ad orientare la ‘Voce degli Studenti della Zaytûna’. Il gruppo di studenti si organizza in un movimento che, a partire da alcuni anni prima dell’indipendenza nazionale del 1956, indice diversi scioperi al fine di chiedere al governo sia un sostegno finanziario che delle riforme a favore del sistema educativo della Zaytûna.

In sintesi, i leader patriottici tunisini, impegnati nella lotta nazionalista, utilizzano politicamente l’Islam poiché consapevoli del forte legame di solidarietà che può creare tra i cittadini. In altre parole, l’uso politico della religione, nel periodo della resistenza all’occupazione francese, potrebbe essere definito come una reazione ‘spontanea’ non associabile ad alcuna forma di islamismo, inteso come organizzazione politica che segue i principi di un Islam purista ‘corretto’.

Più tardi, divenuto Presidente, Habib Bourguiba si rivolge al popolo per mezzo di un discorso politico denso di simbolismo religioso. Il Presidente si presenta come un riformatore modernista. Infatti egli associa il processo di modernizzazione e di secolarizzazione dello Stato e della società alla difesa dell’Islam. Habib Bourguiba, anche detto al-Mujâhîd al-Akbâr, il ‘Combattente Supremo’, si serve della narrativa del jihad per descrivere e legittimare i suoi sforzi modernizzatori. Considerato supremo difensore dell’Islam, egli è il fautore di indiscutibili e radicali cambiamenti apportati alle istituzioni islamiche tradizionali: alla moschea-università Zaytûna e alle corti islamiche, al-Majlis al-Shar‘iyya. Bourguiba impone un sistema partitico unico capace di controllare e reprimere qualsiasi forma di opposizione, concentrandosi nello specifico su quella islamica. Questa repressione, come vedremo, contribuirà progressivamente alla radicalizzazione dell’islamismo e alla formazione, a partire dagli anni ’80 del XX secolo, di una tendenza jihadista che miri al ripristino del califfato.

Il Jihad di Bourguiba

Numerosi studiosi ritengono che le riforme moderniste apportate da Bourguiba negli anni ’50 e ’60 siano alla base delle ragioni più profonde della nascita dell’islamismo tunisino. A simboleggiare quest’islamismo la formazione nel 1972 del ‘Gruppo Islamico’, al-Jamâ‘ al-Islamiyya, per opera di Rachid Ghannouchi. Infatti, i primi anni di indipendenza, si contraddistinguono per l’esclusione metodica della religione sia dallo Stato che dalla società.

Nonostante questa esclusione, per “sfruttare” la sensibilità religiosa molto presente nel popolo tunisino. Bourguiba veste “steriormente” le sue azioni di un manto “sacro” e religioso. Inizia quindi la ‘sacra’ lotta del primo Presidente tunisino al diffuso sottosviluppo presente nel paese, una missione che egli stesso considera come puro jihad. In questo modo Bourguiba si autodefinisce “leader spirituale dei musulmani nel paese” le cui “funzioni e responsabilità come Capo dello Stato [gli] permettevano di interpretate la legge religiosa”.

Come leader dei musulmani e ‘Supremo Mujâhîd’, Bourguiba impone la superiorità dello Stato sulla religione (quindi un palese… controsesnso logico si potrebbe dire) e attua riforme radicali alle istituzioni islamiche tradizionali tunisine, sia in campo educativo che legale. La superiorità dello Stato si palesa nel momento in cui le terre di proprietà della Zaytûna e di altre più piccole scuole religiose presenti nel Paese, note con il nome di habous e waqf, vengono confiscate il 2 marzo 1956. Questi importanti appezzamenti di terreno formavano un quarto delle terre fertili tunisine, precedentemente donate alle moschee per autofinanziarsi. Con la confisca statale, l’indipendenza economica delle scuole tradizionali viene a mancare. Il 3 agosto 1956, al-Majalis al-Shar‘iyya, le corti di giurisprudenza islamica tradizionale hanafita e malikita, vengono abolite. Essendo “istituzioni decadenti”, come sostiene Bourguiba, le corti sciaraitiche (= della sciaria) vanno integrate al nuovo sistema giuridico dello Stato laico garante della supremazia dei codici legali poco prima emanati.

Tra queste nuove leggi, il Codice dello Statuto Personale è la più controversa in quanto apporta cambiamenti allora radicali per la società: abolisce, per esempio, la poligamia e stabilisce la parità di sesso. È soprattutto contro lo Statuto Personale che, successivamente, l’opposizione islamica sviluppa il suo dibattito ideologico a favore della restaurazione della sharîa. Lo stesso processo di modernizzazione viene applicato all’insegnamento religioso della Zaytûna. L’insegnamento tradizionale sarà proibito e la stessa università-moschea, diventa, nel 1961, una facoltà di teologia controllata dal Ministero della Pubblica Istruzione. Attraverso l’appello alla modernizzazione e alle riforme dell’Islam tunisino sterile e decadente, Bourguiba legittima le sue opinioni e le sue azioni ponendosi come leader spirituale della Tunisia musulmana.

La sua strategia consiste, da un lato, nello smantellare tali istituzioni e controllarle attraverso un moderno apparato statale laico e dall’altro, legittimare i suoi progetti riformisti servendosi del discorso religioso. Lo Stato diventa ufficialmente il sacro e il legittimo difensore della fede; il suo Presidente, l’Imam o il Califfo, è il leader spirituale della umma.

La ‘rivoluzione’ culturale apportata da Bourguiba produce, nel postindipendenza, una generazione di giovani insoddisfatti che, non trovando validi riferimenti islamici all’interno del paese, si rivolge all’apporto ideologico alternativo della politica mediorientale e agli scritti di islamisti quali Hassan al-Bannâ, Sayyid Qutb e Rashîd Ridâ. Il paradosso delle argomentazioni islamiste, in merito alla corretta forma di Islam e di hâkimiyya da adottare, si intensifica e si amplia ulteriormente quando, i giovani militanti islamisti tunisini, come Rachid Ghannouchi (foto attuale, a sinistra) verso la fine degli anni ’60, rientrano in patria lasciando il Medio Oriente dove si erano precedentemente recati per compiere gli studi. Questi uomini sono contrari ai regimi democratici occidentali.

La nascita dell’islamismo, verso il Jihad tunisino

Il discorso laicista di Bourguiba provoca il malcontento popolare che si palesa nelle manifestazioni di Kairouan, nel gennaio 1961. Le manifestazioni diventano violente, nel momento in cui, sia le forze della Guardia Nazionale che l’esercito, intervengono contro i manifestanti. La folla mentre invoca Dio, recitando a gran voce “Allah è il più Grande”, appicca il fuoco alle automobili presenti sul sentiero che conduce a casa del governatore locale. Una volta entrati nell’abitazione, quello che accade “sembrava un tentativo di linciarlo” per aver ordinato di trasferire dalla città il secondo Imam Abdurrahman Khelif. Nello scontro, otto cittadini e una guardia nazionale perdono la vita139. Tali eventi riflettono l’accumulo di insoddisfazione popolare crescente nei confronti del regime che, a partire dalla fine degli anni ’60, conduce gradualmente alcuni giovani tunisini ad organizzarsi in un’opposizione islamica.

Abolito l’insegnamento religioso tradizionale della Zaytûna, durante il regime di Habib Bourguiba, giovani disillusi come Rachid Ghannouchi, lasciano la Tunisia per dirigersi verso Siria e Egitto. È in questi paesi che provano ad applicare il progetto politico islamico alternativo alla dittatura di Bourguiba.

Nel frattempo, la fiducia popolare nel discorso nazionalista moderno tunisino è scossa da tensioni interne ed esterne al Paese.  Il nazionalismo di Bourguiba non riesce a realizzare lo sviluppo economico promesso. L’esperienza di cooperazione con i socialisti, condotta dal regime negli anni ’60, si rivela catastrofica per l’economia del paese basata sull’agricoltura. Il regime dichiara guerra all’opposizione marxista, soprattutto all’interno delle università. Centinaia di studenti e attivisti di sinistra vengono arrestati e processati da una macchina di repressione che impone il liberalismo come nuova tendenza economica nel paese.

La soppressione della sinistra prepara il terreno per la nascita dell’islamismo che diventa l’unica vera forma di opposizione politica. Il vuoto creato dalla repressione socialista viene colmato dai sostenitori dell’ideologia islamica che, a poco a poco, cercano di infiltrarsi nelle moschee, nelle scuole e nelle università.

Quest’opposizione inizialmente eviterà scontri diretti con il sistema. Rahid Ghannouchi, ‘Abd al-Fattah Mourou e un altro ristretto gruppo di uomini, iniziano infatti la propria missione predicativa seguendo il modello del gruppo pakistano Tablîgh wa Da‘wa (Trasmissione e Predicazione). Attraverso sermoni tenuti in moschee, villaggi, strade e altri luoghi pubblici, questi uomini invocano il ritorno all’Islam. Tuttavia, prima di intraprendere la loro missione, Ghannouchi e Mourou, vengono introdotti nei circoli religiosi organizzati nella moschea Zaytûna dall’associazione ‘Conservazione del Corano’, fondata dallo Shayk Habib Mistaoui, un militante riformista nel periodo della colonizzazione.

Le ambizioni riformiste dei Shayk Habib Mistaoui sono contrarie all’orientamento politico di Ghannouchi e Mourou che, tuttavia, verranno eletti membri dell’associazione ‘Conservazione del Corano’ e beneficeranno della libertà necessaria per diffondere pubblicamente la loro predicazione. Sotto la copertura della predicazione apolitica, Rashid Ghannuchi e ‘Abd al-Fattah Mourou pianificheranno le basi politiche dell’opposizione islamica tunisina.

Nel mese di aprile 1972 viene fondata la nota organizzazione al-Jamâ‘ al-Islamiyya, il ‘Gruppo Islamico’. Ghannouchi venne eletto Emiro. Il Gruppo Islamico si ritiene essere la manifestazione locale dell’organizzazione internazionale dei Fratelli Musulmani egiziani a cui giurò fedeltà l’anno successivo durante il pellegrinaggio a La Mecca nel 1973.

Al-Jamâ‘ adotta i concetti e le idee principali di Hassan al-Bannâ e Sayyid Qutb, riprendendo nello specifico il principio di hâkimiyya e della necessità di una salvaguardia islamica che operi in segreto per sconfiggere il nemico così da liberare la umma dalla jâhiliyya. Il titolo di Emiro, attribuito a Ghannouchi durante ‘La Riunione’ segreta, è un termine islamico comunemente usato dai gruppi salafiti e dai jihadisti moderni. Nell’utilizzo fatto da questi gruppi, la parola viene caricata di alte connotazioni politiche e militari. Seguendo la Sunna del Profeta l’Emiro assume l’incarico di condurre l’esercito. Infatti, i fondatori dell’organizzazione al-Jamâ‘ al-Islamiyya rappresentano i pionieri dell’islamismo in Tunisia.

L’attività pubblica svolta da al-Jamâ‘ al-Islamiyya è la da‘wa, la predicazione. Per quanto misteriosi ed enigmatici, i membri del Gruppo Islamico rifacendosi all’ideologia radicale di hâkimiyya predicata dalla fratellanza egiziana e dal pakistano al-Mawdûdî, considerano il regime un tiranno da sconfiggere attraverso la lotta armata, così da sostituirlo con uno Stato Islamico. È per tale ragione che al-Jamâ‘ struttura al suo interno una milizia segreta che verrà in seguito utilizzata per confrontare il regime tunisino agli inizi degli anni Ottanta. Per la prima volta, la Tunisia vedrà la nascita di un’opposizione politica islamista armata che, attraverso il takfîr o scomunica, inizia ad infiltrarsi all’interno delle moschee e delle università per propagare il suo credo e reclutare simpatizzanti.

Ghannouchi e Karkar invitano gli studenti universitari a diffondere la loro predicazione islamista attraverso dibattiti tra ristretti gruppi di persone. La predicazione nelle università è primordiale per il reclutamento dei simpatizzanti e per la proliferazione dell’ideologia islamista. Il Gruppo Islamico fonda numerose cellule composte da studenti che “si unirono ai ranghi islamisti” poiché, secondo Mohamed Elhachmi Hamdi “non trovarono alcuna referenza, né a destra né a sinistra; erano sradicati”. Centinaia di studenti reclutati per la diffusione della dottrina islamica serviranno per organizzare manifestazioni e proteste così da far sentire la propria voce al regime.

Durante gli anni ’70 la continua proliferazione dell’attivismo islamista universitario è in un certo senso favorita dal regime. Il movimento islamista rappresenta un freno al movimento studentesco marxista ed altri gruppi di sinistra che, all’epoca dominanti nell’università, rappresentavano la sfida più importante per il governo. Fin quando contribuisce a discreditare e combattere il marxismo, l’ideologia islamista predicata dal Gruppo Islamico, pur essendo diversa dalla versione ufficiale dell’Islam, è tollerata. Il rifiuto dello Stato alla richiesta della costruzione di una moschea all’interno del campus, accentua però la militanza della ‘tendenza islamica’ studentesca. Altri segnali politici lanciati dagli studenti tunisini coincidono con la celebrazione della vittoria di Khomeini e la dichiarazione dello Stato Islamico in Iran, nel 1979. L’apporto studentesco, dato all’infiltrazione dell’ideologia islamista nella società tunisina, si manifesta maggiormente quando, una parte di questi giovani ottiene un posto di lavoro come docenti nelle scuole secondarie e nelle università.

Pur agendo in segreto, l’influenza del movimento è notevole e si riflette in diverse occasioni in atti di violenza che confermano l’ascesa del radicalismo religioso nel paese. Slogan islamisti appaiono in occasione delle manifestazioni trasformatesi in scontri con la polizia nel quartiere popolare di Menzel Bourguiba a Tunisi, nel mese di giugno 1981. Eventi simili si svolgono, un mese più tardi, nella regione costiera di Msaken, nei pressi di Sousse, quando alcuni membri di al-Jamâ‘ impongono il loro Imam nella moschea invece di quello nominato dallo Stato. Tuttavia, durante gli anni ’80, il Gruppo Islamico, scoperto dalle autorità, è costretto a dichiararsi pubblicamente ma, la massiccia repressione subita nel corso degli anni lo porterà a radicalizzare le proprie posizioni. Il lungo scenario di lotta dei regimi tunisini contro l’attivismo jihadista inizierà proprio nel corso di questi anni.

Il Jihad tunisino

A partire dal 1978, proteste e rivolte contribuiscono a preparare il terreno per la comparsa di un attivismo jihadista tunisino intenzionato ad colpire il regime. Lo sciopero generale del 1978, organizzato dall’unico sindacato presente nel paese, l’UGTT (Union Générale des Travailleurs Tunisiens), e l’operazione di Gafsa, nel 1980, provano che il regime di Bourguiba si è indebolito e non è più in grado di soddisfare le richieste popolari. Al contempo, la dichiarazione dello Stato Islamico iraniano di Khomeini, nel 1979, è una conferma per gli islamisti arabi che la loro aspirazione alla rifondazione del califfato è realistica. Gli studenti universitari tunisini celebrano l’evento ansiosi di vede nascere uno Stato simile in Tunisia. Il ‘sogno’ islamista, invece, viene presto interrotto dalla scoperta, da parte delle autorità tunisine, dell’esistenza di al-Jamâ‘ al-Islamiyya.

La scoperta dell’associazione risale alla notte del 5 dicembre 1980. Un ufficiale di polizia di ritorno a casa nel centro di Tunisi, alle cinque del mattino, si insospettisce per la presenza, sotto il palazzo in cui abita, di due uomini. Salah Karkar e Ben ‘Issa Dimni erano membri del comitato esecutivo di al-Jamâ‘ al-Islamiyya. L’agente si chiede cosa possano fare i due uomini in quel luogo data la tarda ora. Chiamati i rinforzi, la polizia entra nell’edificio di Avenue Carthage ed entrambi i membri vengono arrestati. Scoperta, al-Jamâ‘ al-Islamiyya organizza un congresso per discutere come procedere. Il gruppo non è più segreto. Ha inizio così l’aperto confronto con il regime di Bourguiba.

Nel 1981, al-Jamâ‘ al-Islamiyya non solo sarà costretta a cambiare il suo nome in Movimento della Tendenza Islamica (MTI), ma anche la sua tattica d’attacco alla preparazione jihadista segreta, passando, alla maniera del Profeta, dalla fase di Medina a quella della Mecca. Nel 1972, l’emiro Rachid Ghannouchi in un articolo apparso sulla rivista al-M‘arifa, in preparazione del suo primo attacco allo Stato, scrive:

È nostro dovere iniziare l’attacco. L’attacco è spesso il solo

mezzo di difesa. Inoltre, mantenere un approccio difensivo

potrebbe provocare la perdita delle energie dei membri attivi e

la certezza che essi sono la locomotiva del movimento e il suo

attivismo

L’agenda nazionalista

Seguendo i principi qutbiani di hâkimiyya e jâhiliyya, Rashid Ghannouchi, fondatore dell’organizzazione Jamâ‘ al-Islamiyya, ritiene che la partecipazione alla vita politica sia sinonimo di apostasia. Rovesciare il regime di Bourguiba e creare uno Stato Islamico sono gli obiettivi perseguiti dal Gruppo Islamico. Così, a partire dal 1974, al-Jamâ‘ inizia a formare la sua intellighenzia e il suo apparato militare. Gli studenti delle scuole superiori che falliscono nell’ottenere il diploma vengono indirizzati alle scuole militari governative. Al-Jamâ‘ cerca, attraverso questa strategia, di infiltrarsi nell’apparato di sicurezza militare del governo.

Con la laurea della prima ondata di seguaci, al-Jamâ‘ forma il suo nucleo militare. La missione di questo gruppo ristretto consiste nel reclutamento di soldati convinti di unirsi al gruppo. Oltre ad un apparato militare e intellettuale, il gruppo fonda scuole private e alcune attività commerciali che garantiscono autosufficienza economica. Il Gruppo Islamico inoltre si infiltra progressivamente nelle forze (e scuole) di polizia. L’infiltrazione viene fatta anche nelle moschee. Sin dalla nascita nel 1972, il Gruppo Islamico punta a diventare uno Stato nello Stato.

Scoperto nel 1980, l’organizzazione di Ghannouchi continua a valutare la corretta manovra politica da adottare prima di dichiarare guerra al regime. A tal proposito, il congresso tenuto a Sousse nel mese di aprile 1981, è importante per diversi motivi. Nel corso dello stesso mese, Bourguiba annuncia la nuova politica di apertura del governo verso la formazione di nuovi partiti e associazioni173. Dopo il congresso, al-Jamâ‘ al-Islamiyya cambia il suo nome in Harakat al-Ittijah al-Islamî, Movimento di Tendenza Islamica (MTI). Per proteggere la sezione segreta, il movimento decide di apparire pubblicamente e di esigere il riconoscimento ufficiale del governo. Rashid Ghannouchi e gli altri membri fondatori, ‘Abd al-Fattah Mourou,

Hamadi al-Jbali, Habib al-Louz and Habib al-Souissi, costituiscono il nucleo del nuovo partito politico. Al contempo, la cellula segreta del movimento continua ad esistere. Ma gli studenti delle scuole secondarie così come gli universitari, insoddisfatti della trattativa dei leader dell’ MTI con l’apostata regime, organizzano una serie di scioperi e manifestazioni nel paese. Il regime risponde alla richiesta di legalizzazione avanzata da Jamâ‘ al-Islamiyya, con l’incarcerazione dei suoi principali dirigenti. Una repressione massiccia fa sì che, nell’estate del 1981, si verifichino più di 107 arresti tra gli attivisti islamici. Questi eventi segnano il vero inizio del confronto tra gli islamisti tunisini e il regime e portano alla radicalizzazione di alcuni esponenti del movimento. Ciò nonostante, mentre l’ MTI diventa a tutti gli effetti un partito politico, alcuni membri escono dal gruppo per formarne un altro: la ‘Jihad Islamica’.

La Jihad Islamica, a partire dal 1986, viene denominata dai media locali ‘Banda di Sfax’, dal nome della città natale di numerosi attivisti. Nel mese di agosto dello stesso anno, tre membri della Banda di Sfax, Kamal Ouchachi, un tenente militare, Habib Dhaoui, un predicatore locale della città di Sfax e A. Lazreq, un ex attivista dell’ MTI che scriveva per la rivista al-Ma‘rifa, vengono giustiziati con l’accusa di esser responsabili degli attacchi ad un ufficio postale e ad un commissariato di polizia. Nel mese di novembre l’ MTI organizza un congresso nel quartiere tunisino Menzah, per preparare un colpo di stato che rovesciasse il regime di Bourguiba. Nel mese di dicembre 1986, con le manifestazioni iniziano gli scontri con la polizia. Il culmine delle proteste civili si raggiunge nel mese di maggio 1987, mese di Ramadan quell’anno. Numerose manifestazioni si svolgono di notte. Diversi i feriti tra le forze dell’ordine. Ciò nonostante il colpo di stato pianificato dall’ MTI fallisce179. In reazione al fallimento, il 2 agosto 1987 (data che coincide con il compleanno del Presidente), Mehrez Boudaggua, Fauzi Sarraj, Fathi Jabrane e Mohammad Charrad attaccano quattro alberghi delle città di Sousse e Monastir, situati nella regione natale di Bourguiba.

Storici e analisti spesso riportano che nei media gli attacchi alla polizia, all’ufficio postale così come quelli diretti contro gli alberghi di Sousse e Monastir, vengono attribuiti al gruppo della Jihad Islamica o alla Banda di Sfax. Tuttavia, non esiste una conferma del legame tra il gruppo jihadista e l’ MTI. L’attrazione crescente per la dottrina jihadista e per l’attivismo militare in seno all’ MTI potrebbe spiegare l’aumento della violenza esercitata dalla Jihad Islamica, tra il 1986 e il 1987. Nel mese di ottobre 1987, i membri della sezione militare dell’ MTI chiedono a Salah Karkar di fornire loro una fatwâ che legalizzi l’assassinio dei loro colleghi prima di effettuare il colpo di stato. Nel frattempo l’ MTI si rifornisce delle armi necessarie all’attacco contro il regime. Le armi vengono acquistate in Germania da Kamal Ghodbane e consegnate al gruppo grazie all’aiuto del funzionario doganale al-Borni al-Ouslati. Sayyid Ferjani, membro della cellula militare dell’ MTI, incontra Salah Karkar a Londra, il 30 ottobre 1987 e, con la fatwâ precedentemente richiesta, ottiene le indicazioni sul da farsi nell’immediato futuro che avrebbe seguito il colpo di stato. Salah Karkar prepara così un discorso scritto da indirizzare al popolo tunisino e al mondo intero.

L’esperienza transnazionale

Il confronto tra l’ MTI (Movimento della Tendenza Islamica) e il governo all’interno dei territori tunisini, iniziato nel 1981, continua anche al termine del regime di Bourguiba quando il generale Ben Ali, all’epoca ministro degli Interni, scoperto il complotto del gruppo islamista, conduce (Ben Alì) un colpo di stato il 7 novembre 1987. Convinti i medici dell’incapacità mentale del ‘Presidente a vita’, Ben Ali si impone come secondo presidente della Repubblica tunisina.

Sebbene l’era di Ben Ali (qui un INTERESSANTISSIMO articolo di come arrivò al potere) fosse iniziata con la liberazione di Rashid Ghannouchi (gli ultimi anni di Bourguiba furono contrassegnati da una certa “giustizia sommaria” contro vari fondamentalisti, vedasi articolo), e con un periodo di relativa tregua con il Movimento di Tendenza Islamica, il confronto continua. Nel corso delle elezioni legislative del 1989, l’ MTI cambia il suo nome in al-Nahda (“Rinascimento”) e partecipa alle elezioni (l’utilizzo della terminologia islamica insita nel nome del MTI era rienuta problematica dal presidente Ben Ali).

Un’ulteriore prova del crescente interesse dell’ MTI nel jihad transnazionale si manifesta in occasione della guerra in Afghanistan. Negli anni Ottanta un consistente numero di membri del Movimento di Tendenza Islamica supporta i jihadisti libici in Afghanistan. Pur concentrandosi sul rovesciamento del recente regime di Ben Ali, i membri dell’ MTI sostengono la causa jihadista ospitando per esempio i jihadisti libici in terre tunisine così da facilitare la loro partenza verso le terre afgane.

Nel frattempo al-Nahda si prepara alla guerra contro il regime, una guerra che questa volta vogliono decisiva. Il 16 novembre 1987 le autorità tunisine arrestano 76 membri della polizia tunisina, doganieri o militari, attivisti dell’organizzazione al-Nahda, che complottano l’assassinio dei membri del governo. Gli attivisti ricevono l’attrezzatura militare da Mohammed Chammam, collaboratore del leader dell’ MTI, Habib Mokni responsabile della consegna di armi e bombe lacrimogene acquistate durante l’esilio a Parigi L’ MTI addestra le proprie cellule militari, da inviare in Afghanistan, con tecniche jihadiste sul Monte Boukornine, nei pressi di Tunisi. L’ex direttore dell’ATCE, Abdallah Amami, riferisce che durante l’estate del 1989, Abdelatif Tlili e Lotfi Snussi stabiliscono legami con noti leader jihadisti: ‘Abd ar-Rasûl Sayyaf e Abdallah Azzâm. Questi ultimi gestivano campi di addestramento militare in Pakistan e Afghanistan. Amami riferisce che in quel periodo, gli ufficiali delle ambasciate e dei consolati tunisini erano abituati alle visite di famiglie tunisine che lì si recavano per avere informazioni circa il destino dei loro figli partiti per l’Afghanistan189. A partire dai primi anni Novanta, anche il Sudan diventa una destinazione ambita per la formazione militare, soprattutto dal momento in cui le autorità pakistane costringono gli afghani arabi a lasciare il paese.

In attesa del momento decisivo per condurre l’operazione militare che avrebbe messo fine al regime del generale Ben Ali, al-Nahda prosegue, nel corso del 1990 e del 1991, la formazione e la distribuzione delle cellule combattenti/dormienti dell’ MTI all’interno dei quartieri popolari di Tunisi e Biserta. Allarmate, le autorità tunisine riescono, nel maggio 1991, ad arrestare 27 membri della cellula Zaytûna responsabile dell’incendio dei locali del partito al governo, il Raggruppamento Costituzionale Democratico (RCD), siti a Bab Souika a Tunisi. Nello stesso mese, la polizia arresta 300 sospetti di cui 100 sono alti ufficiali militari. Nel colpo di stato, gli ufficiali avrebbero dovuto tenere sotto controllo i ministri dell’Interno e della Difesa, le stazioni radio e la TV locale192 Al-Nahda pianifica un altro attacco per il 15 ottobre 1992. La data coincide con le visite presidenziali rituali a Biserta in occasione della Giornata di Evacuazione. Il movimento ordina, alle cellule militari latenti presenti nella regione, di piazzare bombe sotto uno dei ponti che conduce alla città. 8 bombe su 20 sono state già piazzate quando le autorità tunisine arrestano i principali dirigenti regionali di al-Nahda che nel frattempo riescono ad ordinare l’attacco alla polizia e alle caserme militari locali e a mettere fuori servizio le principali strade che portano a Biserta. È importante sottolineare che tra i membri attivi delle cellule del movimento di Menzel Bourguiba, a Biserta, c’è Saîf Allâh Bin Hassine, oggi noto come Abû ‘Iyâd al-Tunisi, leader di Ansâr al-Sharîa in Tunisi.

In sintesi, pur mantenendo una strategia basata su una duplice faccia, al-Nahda riesce a presentarsi come partito politico, mentre in segreto ordina atti di jihad. A partire dagli anni ’80, la notevole evoluzione delle tecniche di guerriglia, modellate sugli esempi dei campi di addestramento jihadista, riflettono la crescita dell’attivismo radicale in Tunisia, per la prima volta nella storia del paese. Infine, la massiccia repressione dei membri di al-Nahda e dei suoi simpatizzanti, fa sì che l’attivismo jihadista tunisino si sviluppi in un’esperienza transnazionale che serve da base al nuovo confronto con il regime nel paese. Mentre alcune fonti confermano che il numero di prigionieri islamisti si aggira intorno ai 30.000, il Rapporto Annuale del 1992 parla di 9.000 detenuti. La repressione a cui è sottoposto l’islamismo in Tunisia contribuisce ad accelerare e sviluppare la sua radicalizzazione portando ad un jihad sempre più connesso all’attivismo jihadista transnazionale.

Nel 1989, optando per l’esilio, Ghannouchi lascia la Tunisia e si dirige in Sudan. Il regime islamista sudanese gli fornisce un passaporto diplomatico utile per migrare a Londra. Qui, Ghannouchi si presenta come un semplice militante civile critico verso la dittatura di Ben Ali. Nella capitale inglese fonda il Fronte Islamico Tunisino (FIT), un gruppo jihadista che si ispira al gruppo algerino GIA (Groupe Islamique Armé).

Il FIT si addestra nei campi militari algerini. Nel febbraio 1995, il Fronte Islamico Tunisino rivendica la responsabilità dell’attacco ad un posto di blocco situato sui confini tunisini, durante il quale “sette guardie di frontiera vengono uccise”. Il Rapporto del Dipartimento di Stato del 1995 afferma che il gruppo, dopo aver avvertito che “tutti gli stranieri in Tunisia dovrebbero lasciare” il paese, è riuscito ad uccidere quattro poliziotti199. Nel mese di giugno 1995 le autorità francesi smantellano una rete militare che fa da sostegno a GIA e FIT. Mohamed Skah, capo della filiale francese del FIT, viene arrestato durante un operazione in cui lo si trova in possesso di armi.

Con il FIT il jihad tunisino si sviluppa in una lotta transnazionale. Infatti, dalla fine degli anni Novanta fino al 2010, una diaspora di jihadisti tunisini sarà attiva in diverse regioni del mondo in collegamento con l’attivismo radicale internazionale. Costretti a lasciare la Tunisia a causa del repressivo regime militare di Ben Ali, i jihadisti tunisini complottano attacchi in Afghanistan, Europa, Sudan e Algeria. L’importante esperienza transnazionale, aiuta i militanti tunisini ad acquisire le tecniche jihadiste avanzate e utili strategie che serviranno a riattivare gradualmente la lotta nazionale, così come a mantenere legami con il jihad globale. In Europa, i jihadisti tunisini progettano attentati a Roma, Parigi e Barcellona, dove per esempio, nel 1994, attaccano la comunità ebraica locale per mezzo della collaborazione dei jihadisti algerini e palestinesi, poi arrestati in Francia, nella città di Perpignano.

Questo attivismo, pur presentandosi in numerose occasioni durante il regime di Ben Ali, vedrà un aumento drammatico a seguito della Rivolta del 2011. Tuttavia, per il momento diremo che, la prima manifestazione del jihad tunisino si ha sul fronte afghano che, a partire dalle fine degli anni Ottanta, rappresenta una forte attrattiva per molti arabi, noti come ‘arabi afghani’. A differenza di altri gruppi jihadisti arabi, il numero di combattenti tunisini in Afghanistan, alla fine degli anni Ottanta, è relativamente basso, fatto che non permette loro di raggrupparsi in un unico movimento. Il jihadista libico Noman Ben Othmane, combattente in Afghanistan, sottolinea che sebbene non numerosi, i Mujâhidîn tunisini sono “particolarmente estremi”. Tuttavia essi non riescono a formare un gruppo non solo perché numericamente limitati, ma anche perché svariati sono i conflitti ideologici su chi debba detenere il potere. Othmane riporta che i tunisini non riescono a stabilire un proprio campo militare, nonostante il supporto fornito loro dal LIFG (Gruppo dei Combattenti Islamici Libici) e dal leader afghano Abdul Rasul Sayyaf. I tunisini sono così tanto in disaccordo tra loro che presto divengono oggetto di burla per gli altri arabi afghani i quali mormoravano che “se si uniscono due jihadisti tunisini finiscono per combattere il jihad l’uno contro l’altro”

Al termine della guerra in Afghanistan, gli “arabi afghani”, espulsi dal territorio dalle autorità pakistane, trovarono rifugio in Europa. Qui iniziano a progettare cellule militari attive in diversi paesi come Italia, Belgio, Inghilterra e Germania. In quel periodo, in Sudan, Bin Lâden si impegna a “perseguire una strategia globale”. Per evitare lo scioglimento di al-AlQa‘îda, al termine della guerra in Afghanistan, Usâma Bin Lâden istituisce il ‘Consiglio degli Ulema’, anche detto ‘Shûrâ’, il cui ruolo è quello di coordinare e instaurare legami con i gruppi jihadisti presenti in Africa, Europa e Asia. Negli anni ’80, i jihadisti tunisini, non uniti in un movimento e non potendo tornare in patria, si trasferiscono in Europa. Nel mese di settembre 1986, Fuad Ali Saleh organizza una serie di attentati a Parigi in cui si registrano in totale 13 morti e 303 feriti. Il 13 aprile 1992 Fuad Ali Saleh è condannato all’ergastolo.

I jihadisti tunisini in Europa, ormai leader e membri attivi di diverse cellule militari, si alleano al progetto di infiltrazione in Europa occidentale pianificato da Usâma Bin Lâden. Le cellule tunisine di Milano e Bologna in Italia e quella di Bruxelles in Belgio saranno attive su tre fronti;

  • partecipando al jihad in occasione della guerra in Bosnia-Erzegovina
  • supportando il gruppo algerino al-Jamâ al-Salafiyya li-Da’wa wa al-Qitâl o GSPC (denominato a partire dal 2007 al-Al-Qaîda nel Maghreb Islamico o AQIM)
  • recluterando i tunisini per i campi di addestramento in Afghanistan che in seguito fonderanno il ‘Gruppo Combattente Tunisino’ o TCG (al-Jamâ‘ atTounisiyya lil-Qitâl).

In realtà, essendo l’Italia luogo di rifugio di numerosi gruppi jihadisti come il ‘Gruppo Islamico Armato’ algerino (GIA), la ‘Jihad Islamica Egiziana’ (JIE) e l’organizzazione tunisina al-Nahda, un consistente numero di jihadisti tunisini si stabilisce a Milano. L’Istituto Culturale Islamico di Milano, ICI, è controllato dal 1988 dal gruppo della JIE. Il tunisino Mohammed Saidani, imam della moschea di Bologna, ha legami diretti con Usâma Bin Lâden, mentre l’imam egiziano dell’ICI, Anwar Shaban, coordina la rete dei jihadisti stranieri in Europa.

Mohammed Saidani e Mundhir Bin Mohsen Ba‘zâui (detto Abû Hamza), un altro militante tunisino ed ex-membro di al-Nahda, complottano attacchi in Francia e negli Stati Uniti. Questi attacchi vengono scoperti con il ritrovamento di una lettera da parte delle autorità italiane. Ba‘zâui è nel frattempo coinvolto nel tentativo di assassinare Ben Ali nel colpo di stato del 1992.

Anche questo tentativo, però, viene scoperto dai servizi segreti tunisini e confermato dalle autorità italiane che ricevono una lettera scritta da Ba‘zâui, tra l’altro membro dei Mujâhidîn bosniaci, noti per la cooperazione con gli islamisti radicali della cellula italiana di Bologna e con Usâma Bin Lâden.

Anwar Shaban, nel frattempo, mette in contatto numerosi tunisini con i jihadisti diretti in Bosnia. L’esperienza bosniaca si rivelerà particolarmente utile per la fondazione del gruppo jihadista tunisino. Infatti, gli scontri accorsi nella città tunisina di Soleimen, nel 2006, tra esercito e attivisti jihadisti, iniziano quando Lassad Sassi, un veterano della guerra in Bosnia e Zuhair Riabi riescono ad entrare in Tunisia attraversando i confini algerini. Sassi e Riabi hanno intenzione di fondare un gruppo militare locale, il gruppo Jund Asad Ibn al-Furât. Lassad Sassi, stabilitosi in Italia, sospettato di appartenere alla cellula armata di Milano. Poco prima che le autorità italiane lo accusino in contumacia per aver finanziato il GSPC, Sassi è costretto a fuggire in Algeria. Nell’aprile 2006, Sassi assieme ad altri jihadisti, si addestra in terre algerine con il GSPC. Raggiunta la Tunisia ha intenzione di avviare un’insurrezione armata contro il regime di Ben Ali.

Le forze armate tunisine, scoprono, tuttavia, che Sassi procedeva al reclutamento di militanti provenienti per lo più dalle città di Sousse e Sidi Bouzid. Sono questi che avrebbero dovuto poi formare diverse cellule jihadiste all’interno del paese.

Nel frattempo le frontiere tunisine assistono agli attacchi del GSPC algerino. Tre soldati tunisini perdono la vita in occasione degli scontri sui checkpoint di frontiera nella regione di Kasserine, nel mese di ottobre 2001. Analisti confermano che al 2001, 200 tunisini connessi all’attivismo di Rachid Ghannouchi e del partito islamista al-Nahda, si allenano ai membri del GSPC nella regione di Tebessa, in Algeria.

Nel mese di aprile 2002, Christian Ganczarski, un tedesco di origini polacche convertito all’Islam, gioca il ruolo di intermediario tra al-AlQa‘îda e Nizar Ben Mohammed Nawar, un tunisino residente a Lione, in Francia. Nizar Nawar è l’autore dell’esplosione del camioncino pieno di bombole di gas liquido all’interno della più vecchia sinagoga nordafricana, la sinagoga Ghriba situata sull’isola di Djerba.

Questa serie di eventi prova che lo sviluppo transnazionale del jihad tunisino. Sulla base degli arresti compiuti dalle autorità italiane e belghe, i numerosi rapporti internazionali dimostrano che i tunisini siano particolarmente attivi in Europa come leader di cellule terroriste associate ad al-Al-Qa‘îda e tramano attacchi contro bersagli americani e italiani. Nel 2001, le autorità italiane scoprono i complotti contro l’Ambasciata americana a Roma, contro la Città del Vaticano e il consolato degli Stati Uniti delle città di Milano e Napoli. Le indagini portano all’arresto di Sami Essid e Mahdi Kammoun, entrambi tunisini. Sami Essid, proprietario della cooperativa General Services di Milano, usava quest’impresa come “fronte per la sua attività di reclutamento e per la pianificazione di attacchi terroristici”. È Sami Essid il “capo delle operazioni di al-Al-Qa‘îda i

Italia”e delle cellule militari di Milano attive nell’ICI. Ulteriori indagini e arresti dimostrano che nelle cellule di Milano vi sono i “terroristi associati al bombardamento del World Trade Center del 1998 e dei bombardamenti delle ambasciate statunitensi in Tanzania e Kenya nel 1993”. La polizia italiana conferma inoltre l’intenzione di assassinare George W. Bush durante il G8 di Genova.

Le cellule militari di Semi Essid fanno ricorso a sofisticate tecnologie, come dimostra una conversazione telefonica, rintracciata dalla polizia italiana, in cui si sente Essid parlare del potenziale utilizzo di gas tossici. “Il prodotto è migliore. È più efficiente perché questo liquido, non appena viene aperto, soffoca la gente”, si ode nella conversazione. Inoltre le indagini italiane sospettano Tarek Maaroufi, un tunisino residente in Belgio, di avere legami con il GSPC, in seguito con AQIM e con il TCG.

Nel 2000, Tarek Maaroufi e Saîf Allâh Bin Hassine, alias Abû ‘Iyâd, attuale emiro di Ansâr al-Sharî‘a in Tunisia, fondano nella città di Jalalabad, in Afganistan, il Gruppo Combattente Tunisino. Associato ad al-Al-Qa‘îda e ad altre reti jihadiste del Nord Africa come il GSPC, il TCG si specializza nella falsificazione di documenti e nel reclutamento di jihadisti presso i campi di addestramento afghani. Il gruppo dichiara di voler stabilire uno Stato Islamico in Tunisia e che tra i vari obiettivi “mira agli interessi occidentali”. La fondazione del TCG simboleggia la transnazionalità del jihad tunisino. Le Nazioni Unite, infatti, confermano che il TCG possedeva diverse sedi in Europa.

Continua …